BORSELLINO, Antonio

N. a Campobello di Licata (AG) il 4 luglio 1930 – M. a Roma data sconosciuta.

Mio padre, contrario al fascismo, per non farmi diventare “balilla” mi iscrisse ad una scuola di suore, le quali, volevano, giustamente, essere pagate.
Oltre al sottoscritto, mio padre aveva altri 5 figli da mantenere. Quindi, venni iscritto ad una scuola comunale di Roma la “Enrico Corradini” oggi “Fratelli Bandiera”.
Non essendo abituato alle “usanze” della scuola comunale (adunate del sabato), un lunedì mattina trovai a scuola un federale della zona. Tra molti ragazzini che eravamo, questo mi chiama e mi dice: “Tu c’eri all’adunata del sabato?”. Ed io risposi “no”. Il federale mi mollò un ceffone che ancora ricordo (1940).

Il 25 luglio 1943, caduta del fascismo
Ricordo un carbonaio (V.le XXI aprile, vicino a piazza Bologna – Roma) che aveva un furgoncino. Caricò quante persone possibili e iniziarono a girare per il quartiere per festeggiare la caduta del fascismo. Ad un certo momento, trovammo per strada una testa di bronzo di Mussolini che legammo al furgoncino per trascinarla. Per le vie di Roma vedevo migliaia di distintivi del Partito Nazionale Fascista (dette “cimicette”).

8 settembre 1943.
Via Famiano Nardini, dove abitavo, avevo di fronte la caserma della Guardia di Finanza. I finanzieri erano pronti alla difesa di Roma. Reputo i finanzieri tra i primi protagonisti della lotta di resistenza. E in che modo? Fornendo armi.
Nella zona ci sentivamo pronti. Seppi che arrivarono ordini superiori e non se ne fece nulla. Il clima antifascista e antinazista aumentava. La fame si faceva sentire, dai negozi scomparvero improvvisamente tutti i generi di prima necessità. Invece, altri, memori di precedenti esperienze, avevano comprato di tutto.
Noi, impreparati, una famiglia di 8 persone la fame l’abbiamo provata. Mio padre, poi, per mantenerci lavorava sempre.
Una domenica pomeriggio, mio padre mi disse di andare a fare una passeggiata nei pressi di Villa Torlonia (la residenza di Mussolini). Arrivati nei pressi della villa ci fermano due guardie in borghese. Chiedono a mio padre la tessera del partito e lui mostra la carta di identità. Gli animi si scaldano e, conoscendo il carattere litigioso di mio padre, iniziai ad aver timore. Poi le guardie capirono che non eravamo persone “pericolose” e ci lasciarono andare. Questo fatto mi ha scosso molto.

Giugno 1944. Arrivo, a Roma, degli americani
Città in festa. Anche se molto giovane mi iscrissi al movimento giovanile comunista. Un certo Angelino mi disse: “Antonio ci iscriviamo ai comunisti?”. Mio padre, di idee socialiste, venne un pomeriggio in sezione (Via Catanzaro) e, rendendosi conto che non “eravano dei malfattori che mangiano i ragazzini”, acconsentì alla mia iscrizione e frequentazione. Successivamente ci fù l’”appello di Togliatti”: dobbiamo riscattarci e combattere per la nostra libertà.
Dalla nostra sezione partimmo in 13 giovani. Tutti i miei amici partivano ed io non potevo essere da meno (falsificando i documenti). Allora il Partito Comunista ci teneva che fossimo, adeguatamente, preparati culturalmente. Vicino alla sezione c’era (e ci sono tutt’ora) il Policlinico, l’Università—La Sapienza e tanti altri uffici. Per l’arruolamento la massima età di 21 era stata abbassata a 18 anni. Come età non ero idoneo, ma per altezza e fisico dimostravo di più.
L’8 gennaio 1945 mi presento alla caserma “Bianchi” (Batteria Nomentana).
Dopo la visita medica, tutti e 13 veniamo arruolati e spediti a Cesano. Qui le caserme erano sprovviste di infissi. (utilizzati dagli sfollati per il riscaldamento).
A Cesano, dopo mezzogiorno, veniamo smistati ai vari Gruppi di Combattimento. Abbiamo fatto alcuni giorni di addestramento. Successivamente, venni destinato al Gruppo di combattimento Piceno e ricordo che in questo gruppo c’erano molti reduci della Divisione “Acqui”.
Ricordo Andreino de Propis, un mio amico, arruolato nella Folgore, ucciso a Fossignano (Ravenna). Ferito anche Franco Dallò, l’amico che mi aiutò a falsificare i miei documenti (a guerra finita venne denunciato per falsa testimonianza).
Io non avevo detto nulla a casa del mio arruolamento. Mia madre, disperata, denunciò ai carabinieri la mia scomparsa. Dopo, circa, un mese e mezzo, a Cesano, si presentano i carabinieri e mi riportano a casa. Mi sentii male perché mi sentivo “pronto”.
Tornai a casa e capìì i tormenti patiti da mia madre. Chiesi, quindi, dove potevo trovare papà. Mia madre mi disse che era in trattoria a giocare a carte.
Premetto che mio padre era di poche parole e soffriva molto dentro. Entrato in trattoria, ancora con la divisa inglese, vedo da dietro una colonna mio padre: “buonasera papà”. Mio padre, credo, perse la concentrazione nella partita e offri, a tutti, da bere.
Tornato al posto di lavoro, alla FATME, in Via Appia Nuova, raccontai la mia storia e mi liquidarono così: chi te lo ha fatto fare. Quindi, assenza ingiustificata.
Poi, vicino Piazza Bologna, imparai a fare il tipografo. Nel 1948 muore mio padre a 42 anni lasciando 8 figli.
Ho fatto qualsiasi mestiere per mantenere la famiglia. Io, il più grande, dovevo lavorare. Mio padre, però, mi diceva: se lavori, fatti pagare le “marchette” (contributi previdenziali) e, oggi, me li ritrovo.
Qui finisce la mia storia, credo poco interessante.
60 anni dopo, a Zattaglia (RA), incontro l’allora ten. Drago e ci siamo riconosciuti attraverso i comuni avvenimenti bellici”.