ponte della magliana

Il ponte della Magliana scavalca il Tevere tra Pian due Torri e via del Cappellaccio ed unisce i quartieri Portuense ed Ostiense, rispettivamente sulla riva destra e sinistra del fiume. Progettato nel 1930 da Romolo Raffaelli, fu costruito per essere l’ingresso sul lato occidentale del neoquartiere dell’EUR e fu completato solo nel dopoguerra.
Attualmente è parte di un più ampio viadotto che sulla sponda destra del Tevere prosegue verso i Colli Portuensi e l’autostrada per l’aeroporto di Fiumicino e su quella sinistra verso l’EUR, le Tre Fontane e via Laurentina.
Nelle giornate dell’8, 9 e 10 settembre 1943 il ponte e l’area circostante furono teatro di uno dei momenti più tragici e cruenti della difesa di Roma da parte dei Granatieri della Divisione Granatieri di Sardegna e degli altri Reparti (carabinieri, cavalieri, carristi, artiglieri, bersaglieri, genieri) contro le truppe germaniche che intendevano occupare la Capitale.
La Divisione si trovava schierata nel settore meridionale di Roma su un fronte a semicerchio a cavallo del Tevere: un fronte lungo ventotto chilometri, distinto in due settori e sistemato su 13 caposaldi campali cui si aggiungevano quattordici posti di blocco interni e di sbarramento delle principali rotabili. Al 1° Reggimento Granatieri erano stati affidati i primi sette caposaldi: i primi quattro al I Battaglione sulla riva destra del Tevere, gli altri tre al III Battaglione,
mentre il II Battaglione era stato posto di riserva divisionale nel Settore Ovest nella zona tra Abbazia Tre Fontane e Forte Ostiense. Al 2° Reggimento Granatieri erano stati affidati gli altri sei caposaldi.
In particolare nell’area del Ponte della Magliana era schierato il caposaldo n.5 (Ponte della Magliana, Monte della Creta, EUR ) comandato dal capitano Domenico Meoli e comprendente anche il comando del Battaglione e della Sesta Batteria artiglieria.
Il caposaldo n.5 era quello che sbarrava la via Ostiense e che con i caposaldi n.6 e n.7 era destinato di lì a poco a sostenere l’urto più violento della battaglia nel Settore, mentre i caposaldi n.1, n.2, n.3 e n.4 sulla destra del fiume non sarebbero stati attaccati direttamente, ma soltanto coinvolti nel movimento di arretramento. Era situato all’altezza della Chiesa dell’Esposizione ’42 ( attuale Basilica dei Santi Pietro e Paolo all’EUR) che svettava la sua cupola solitaria sul crinale del pianoro ed era quindi in una posizione cruciale per i tedeschi, sia che avessero intenzione di entrare in Roma sia che intendessero risalire verso il nord.
È chiaro dunque che il ponte della Magliana costituì il fulcro tattico e morale dei fatti d’arme di quei giorni a sud di Roma.

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Nella difesa di Roma, il primo colpo d’arma da fuoco fu sparato alle 22.10 dell’8 settembre nella zona sud dal caposaldo n.5.
Poco prima una camionetta tedesca era giunta a tutta velocità al posto di blocco antistante al caposaldo e aveva urtato il cavallo di frisia che aveva tuttavia resistito. Il granatiere Emilio Frantellizzi della Nona Compagnia si era fatto avanti chiedendo ai due occupanti la camionetta cosa mai intendessero fare, e i due gli avevano risposto: “per voi la guerra ormai è finita, andatevene a casa”. Non avendo avuto ordine di non lasciar passare, i granatieri del posto di blocco avevano lasciato transitare i due militari tedeschi.
Un forte nucleo autotrasportato di paracadutisti tedeschi si presentò poco dopo all’improvviso davanti al personale di guardia al posto di blocco suddetto, situato avanti al caposaldo n.5 nelle vicinanze del Ponte della Magliana ed avvalendosi del favore delle tenebre e con il pretesto di voler parlamentare, trassero in inganno i militari di guardia e catturarono i pochi granatieri, disarmandoli. Subito dopo un ufficiale tedesco, proveniente dalla via Ostiense, si presentò al caposaldo chiedendo (dopo che inutilmente il capitano Meoli comandante del caposaldo aveva cercato di trattare) di parlare con il comandante della Divisione. Fu ricevuto (era un tenente) dal capo di Stato Maggiore colonnello Viappiani: ed a lui chiese che la Divisione “Granatieri di Sardegna”, e per primo il caposaldo n.5, si arrendessero perché, spiegò, “la guerra degli italiani era ormai finita”.
Pretendeva una risposta e la ricevette. Alle 22.10 dalla batteria, comandata dal capitano Villoresi, che era situata sulla collina dell’Esposizione, furono sparati i primi colpi di cannone. Aveva così inizio quella lotta sanguinosa che doveva estendersi a tutto il fronte della Divisione e che doveva durare fino alle ore 16,10 del 10 settembre 1943.
Ma i tedeschi, che già avevano dato segno di come intendessero condurre la lotta – senza esclusione di colpi, si trattasse anche di usare la slealtà – quando il comandante del caposaldo capitano Meoli ed il tenente colonnello Ammassari andarono a parlamentare, li fecero prigionieri mostrando sul momento l’intenzione di passarli subito per le armi.
Frattanto nel caposaldo la mischia divenne furibonda e si inasprì. Salve di artiglierie, raffiche di mitragliatrici, scoppi di bombe a mano si susseguivano senza interruzione.
Era il caposaldo chiave per il più rapido ingresso nella Capitale ed i tedeschi, perciò, forzavano la mano nella speranza che così facendo potessero risolvere presto la situazione annientando l’ostacolo che s’era parato loro dinanzi. Già c’era stata a loro vantaggio la sorpresa, aggravata dall’inganno che i parlamentari avevano tentato, ed ora c’era anche l’oscurità della notte, una notte senza luna, discesa a favorirli; e c’era l’indubbio valore e l’acquisita esperienza dei loro paracadutisti nonchè la grande preponderanza dei mezzi, delle armi e, sul posto, anche del numero. Per di più, lungo il vialone dell’E42, forti nuclei di paracadutisti germanici, preceduti da armati, evidentemente Alto Atesini, che indossavano giubbe da granatiere e gridavano in italiano “Granatieri, è finita la guerra, basta con la guerra, andiamo a casa!”, ed altri paracadutisti arroccatisi in alcuni punti tatticamente importanti nelle zone dell’E42 – dove giorni prima erano stati intrapresi lavori di sistemazione difensiva fatti poi sospendere dall’Alto Commissario dell’E42 stessa, preoccupato dei “gravissimi danni” che ne avrebbe riportato la zona – facevano temere che potessero riuscire a prendere il posto di blocco di fianco e rendevano ancor più caotica e critica la situazione.
A questo punto, data la gravità della situazione, entra in campo il Battaglione di riserva, comandato dal Maggiore Costa, il quale parte dalla zona delle Tre Fontane ed attraverso la campagna si porta alle spalle del Caposaldo n.5 per ristabilirvi le posizioni compromesse. Giunto all’altezza della Stazione della Magliana, il Battaglione Costa incontra un reparto della P.A.I. (Polizia Africa Italiana) attestato sull’autostrada, il quale, al primo annunzio sanguinoso, si sbanda e ripiega verso Roma, abbandonando in gran numero anche i suoi autocarri armati.
Il Battaglione dei Granatieri assume formazione di combattimento ed avanza verso il Caposaldo. Mentre procede solo, alla testa del suo reparto, Costa trova due ufficiali tedeschi i quali adottano nei suoi confronti lo stesso metodo sleale già adoperato e che è ormai una norma di condotta tedesca (tentativo di temporeggiare con forme concilianti, per poi aggredire all’improvviso).
Così la compagnia di testa è sottoposta repentinamente ad un violento fuoco di mitragliatrici e di bombe a mano che infligge ai granatieri dolorose perdite, ma la reazione di fuoco degli italiani è immediata.
Una forte autocolonna tedesca che cerca di avanzare velocemente verso Roma viene investita dal fuoco micidiale delle mitragliatrici della Compagnia del Capitano Pomares Valentino ed è costretta a retrocedere precipitosamente, abbandonando morti e feriti. Sono circa le due di notte: la situazione al Caposaldo n.5 resta grave.
Il Comando di Reggimento chiede rinforzi per la rioccupazione totale della posizione intaccata. Entra allora in azione il reparto corazzato (RECO) del Reggimento Montebello della Divisione Ariete, al Comando del Colonnello Giordani. Esso scende dal nord: ha attraversato di gran carriera nella notte le vie di Roma, sciabolandone il buio con i fari accesi; varca San Paolo, infila la Via Ostiense ed alle cinque del mattino del giorno 9 settembre giunge con i suoi semoventi alla Montagnola, presso il Comando del 1° Reggimento Granatieri.
Un reparto RECO rimane alle Tre Fontane per coprire eventuali puntate germaniche sul fianco sinistro dello schieramento; il resto delle forze blindate scende sulla Via Ostiense per sostenere il II Battaglione dei Granatieri, nella sua ardua azione di riconquista del Caposaldo n.5.
Dopo la notte di combattimenti incessanti, il mattino del 9 settembre vede la ripresa dell’azione per la totale riconquista del Caposaldo n.5. Alle sette il II Battaglione del Maggiore Costa, appoggiato da dieci pezzi semoventi da 47/32 del Montebello, inizia l’azione di riconquista della posizione intaccata. A tale fatto d’armi partecipano anche Carabinieri del Battaglione Allievi, Bersaglieri ed elementi della P.A.I. Alle ore 10.30, il tanto conteso Caposaldo n. 5 è interamente riconquistato dai Granatieri del II Battaglione e dai valorosissimi semoventi del Montebello.
Sono ancora sul posto i quattro cannoni della Batteria del Capitano Villoresi, la quale ha magnificamente combattuto, e molti nuclei di granatieri, i quali, benché superati ed accerchiati dall’ondata nemica, per tutta la notte si sono battuti dalle loro postazioni di mitragliatrici.
Il Ten. Col. Ammassari ed il Capitano Meoli, che come si ricorderà erano stati catturati a tradimento all’inizio dell’azione durante i subdoli colloqui intavolati dai tedeschi, si sono sottratti a stento ad una esecuzione sommaria barbaramente eseguita dai germanici, in un fossato della Magliana, e riescono a raggiungere il Caposaldo riconquistato. I tedeschi battuti e gravemente decimati affievoliscono la loro azione ed infine la sospendono. La mattina del 9 settembre vide quindi un successo delle armi italiane nella difesa di Roma. Tutta la notte si era combattuto aspramente attorno ai Capisaldi investiti tra il Tevere ed i marmorei palazzi dell’Esposizione: tutti avevano resistito o erano stati riconquistati.

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Testimonianza del Granatiere Emilio Frantellizzi
Nel 1943 io ero un granatiere di Sardegna del 1° Reggimento, III Battaglione, Nona compagnia, comandata dal capitano Meoli. Quello che mi accingo a scrivere è la pura verità : lo posso giurare di fronte a chiunque.
Nel mese di agosto la compagnia venne schierata nel settore «ponte della Magliana» sulla sponda del Tevere, lato sinistro. Il comando di compagnia si trovava sulle pendici dell’Eur. Al mio plotone venne assegnato il compito di sorvegliare la strada statale che portava ad Ostia Lido nei pressi del ponte della Magliana.
Il posto di blocco era costituito da un robusto cavallo di Frisia e si chiamava il V caposaldo. La sera dell’8 settembre ero di servizio proprio al posto di blocco. Alla notizia data inaspettatamente dalla radio che annunciava l’armistizio, si formarono dei gruppetti tra i granatieri per commentare l’accaduto.
Come al solito restammo comunque più vigili perché aspettavamo qualche reazione da parte dei tedeschi. Pochi minuti dopo vidi sbucare una camionetta militare tedesca a tutta velocità che senza rallentare urtò con violenza il cavallo di frisia ma questo era ben saldo e non cedette. Allora mi feci avanti, vidi due militari e chiesi il perché del loro gesto. Mi risposero con voce sgarbata «per voi la guerra è finita, andate a casa». Ribattei che non erano loro a darmi ordini, ma spostai il cavallo di frisia e li lasciai passare perché io non avevo nessun ordine di fermarli. Si prese comunque la decisione di avvertire il comando di compagnia che si trovava a circa duecento metri sotto il monte dell’Eur.
Il capitano telefonò al Comando di divisione, ma anche loro non sapevano prendere una decisione. Fu inviato un motociclista al comando di Corpo d’armata: tornò indietro senza notizie. Una nostra pattuglia ci venne ad avvisare che c’era un movimento di soldati tedeschi: un battaglione di SS in assetto di guerra proveniente da Ostia si dirigeva verso Roma. Il comando di compagnia dette ordine di abbandonare il posto di blocco e di prendere posizione di difesa nelle alture dell’Eur. Verso le 22 si cominciarono a sentire i primi colpi; noi eravamo già in difesa della strada statale. Una nostra pattuglia confermò che truppe tedesche stavano avanzando a plotoni affiancati ed erano vicinissime a noi. In quel momento aprimmo il fuoco di sbarramento su tutta la strada statale che restava circa quattrocento metri sotto di noi. Alla nostra sinistra avevamo il XXI battaglione mortai da 81 comandato dal tenente col. Amassari; anche i mortaisti iniziarono a bombardare. Insomma tutti i reparti dei granatieri che presidiavano quei settori con rapidità aprirono il fuoco. I tedeschi risposero rabbiosamente con le loro armi leggere e con i cannoni montati sui carri armati. Era una forza numericamente superiore a quella del nostro schieramento, ma noi non ci perdemmo d’animo, né di coraggio. Eravamo i veterani dei Balcani con i nostri vecchi fucili 91 e bombe a mano che erano le nostre specialità, poi avevamo anche con noi fucili mitragliatori e mortai da 45. La battaglia durò tutta la notte.
Ricordo bene che i tedeschi in quella notte non riuscirono a superare il caposaldo, cioè il ponte della Magliana. Il loro scopo era quello di occupare la città, ma noi li respingemmo verso il mare. Alle prime luci dell’alba cessarono i combattimenti. Gli alberi sotto di noi avevano i rami rotti dalle granate e dalle fucilate; al suolo c’erano dei morti, tra i quali un caporale della mia compagnia di nome Parile. Poiché presentava ferite di arma bianca capii che era stato ucciso dalle SS perché armate di pugnali. Probabilmente il caporale aveva perduto i contatti con noi e rimasto senza munizioni era stato costretto al combattimento corpo a corpo.
In nostro aiuto intanto giunse una compagnia di bersaglieri che si trovava al deposito e un reparto della Polizia Africa Italiana. Anche loro ebbero molti morti. Il giorno successivo finalmente vedemmo arrivare in nostro aiuto un carro armato della divisione «Ariete». Ci fu un po’ di tregua e si fece anche il rancio dentro la galleria della metropolitana. Furono pochi però quelli che presero da mangiare, perché erano sprovvisti della gavetta, distrutte con i nostri accampamenti.
Anche io non consumai il rancio, sia perché non avevo più la gavetta, sia per la tensione che s’era creata. Mentre ci preparavamo per un eventuale attacco durante la notte arrivò del pane.
Quando incominciò a farsi buio si sentirono i primi colpi ma noi eravamo già ai nostri posti di difesa. La battaglia fu più violenta della notte precedente; tenemmo duro e restammo al nostro posto fino a che avemmo munizioni. In quella notte ci furono degli spostamenti: io persi i contatti con la mia compagnia. Al mattino mi accorsi che mi trovavo in contatto con altri reparti di granatieri. Durante la giornata arrivarono altri rinforzi di granatieri comandati dal tenente col. Costa ci fu un’imboscata da parte dei tedeschi mentre erano in marcia, che provocò feriti e morti. Nonostante i pochi comandi che avevamo, noi granatieri tenemmo duro sulle nostre posizioni anche senza munizioni, saremmo andati all’arma bianca come avvenne sul Cengio. Intervennero i generali Caviglia, Carbone, Campanari, Roatta, e altri che fecero chiamare il nostro comandante colonnello Di Pierro e gli dissero che quello che avevamo fatto era stato uno sbaglio, perché tra noi e i tedeschi non c’era stato nessun cambiamento: erano i nostri alleati e tali dovevano restare. Così ci fu una specie d’armistizio. Il nostro sacrificio era stato vano. Noi intanto avevamo perduto quattro ufficiali, alcuni decorati con medaglie d’oro alla memoria, e un numero imprecisato di granatieri morti e feriti.
Secondo il mio giudizio quell’armistizio per noi granatieri fu un tradimento perché i tedeschi non sarebbero mai e poi mai entrati a Roma, perché noi non ci saremmo arresi.
Intanto s’erano uniti a noi i borghesi. Dopo di che cominciò il calvario: diversi granatieri furono fatti prigionieri ed altri riuscirono a sottrarsi e a nascondersi tramite famiglie, altri raggiunsero la caserma. Anch’io mi nascosi in un palazzo vicino. Bussai ad un appartamento, pregai quella famiglia di darmi un paio di calzoni e una maglietta per togliermi la divisa, così i tedeschi non mi avrebbero riconosciuto. Fui accontentato. Staccai dalla giacca i sacri alamari che tuttora conservo come cimelio di guerra. Tornai a casa a piedi perché i treni non partivano. La stazione era deserta. In quel momento tutto era in sfacelo. Erano le ore 17 del 10 settembre 1943.

Nelle prime ore del pomeriggio del 9 settembre 1943 il combattimento riprese al caposaldo n.5. Il Comando di Divisione Granatieri decise di offrire ai tedeschi la possibilità di attraversare il ponte della Magliana. Ancora si pensava che volessero veramente dirigersi verso Nord. In conseguenza di questa molto discutibile decisione venne attuato l’arretramento dei capisaldi n.4 e n.5, sulla destra e sulla sinistra del Tevere, dietro il fatale ponte.
Alle 6.30 del mattino del 9 settembre 1943 il Comando della Divisione Granatieri, appena attuato il nuovo schieramento, comunicò che era stata stabilita con i tedeschi una tregua d’armi che avrà inizio alle ore 7.30. Trascorsa mezz’ora dall’inizio dell’annunziata tregua, il Comandante del 1° Reggimento Granatieri, Colonnello Di Pierro, il quale ha ormai dislocato il suo comando nella isolata casetta rossa della Montagnola ad immediato contatto con la linea del fuoco, chiamò a rapporto i comandanti di battaglione. Essi erano a colloquio quando da tergo delle case della Montagnola, in direzione normale alla Via Laurentina, sbucarono alcuni carri armati ed autoblindo germanici, i quali violando la tregua d’armi attaccarono decisamente il comando di reggimento. Le unità blindate nemiche fecero fuoco da brevissima distanza e subito colpirono in pieno due autoblindo del Montebello, l’auto personale del comandante del reggimento e l’ufficio stesso del Colonnello.