Donne decorate 1943-1945

Logo-medaglia-oroDopo l’8 settembre 1943, nonostante le Forze Armate siano state lasciate senza ordini precisi, un consistente numero di ufficiali, sottufficiali e militari capirono dove rivolgere le proprie armi: contro i nazi-fascisti. Molti caddero in combattimento e migliaia furono deportati nei campi di concentramento nazisti. Nel nord si formarono numerose bande partigiane, spesso fondate e dirette da ufficiali o sottufficiali che erano riusciti a sfuggire ai rastrellamenti nazi-fascisti. Migliaia gli uomini, ma molte le donne, di diverso orientamento politico e differente ceto sociale e religioso, uniti per il riscatto della dignità della propria Patria, presero parte attiva alla Guerra di Liberazione e di Resistenza sacrificando, spesso, la propria vita.

Sono 19 le donne italiane decorate con la Medaglia d’oro al valore militare (1943-1945) tra cui 15 alla memoria:
Irma Bandiera, Ines Bedeschi, Livia Bianchi, Gabriella degli Esposti in Reverberi, Cecilia Deganutti, Anna Maria Enriquez Agnoletti, Tina Lorenzoni, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Norma Pratelli Parenti, Rita Rosani, Modesta Rossi Palletti, Virginia Tonelli, Iris Versari.
Le donne decorate in vita: Gina Borellini (1924-2007), Carla Capponi (1918-2000), Paola Del Din (1923 – vivente), Vera Vassalle (1920-1985).

Irma BANDIERAInes BEDESCHILivia BIANCHICecilia DEGANUTTIAnna Maria Enriquez AGNOLETTI
N. a Bologna, 8 aprile 1915
M. a Meloncello (BO), 14 agosto 1944
A8_021Nata da famiglia benestante ed educata ad alti sentimenti patriottici, dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte delle organizzazioni clandestine della Divisione partigiani “Bologna”, VII Brig. G.A.P. “Gianni”, ove assunse lo pseudonimo di “Mimma” e il compito di staffetta. Il 4 agosto 1944 venne arrestata nello svolgimento di una missione che le era stata affidata. Dopo nove giorni di torture e sevizie per indurla a svelare i nomi dei compagni di lotta e gli scopi della azione venne fucilata proprio nei pressi della sua abitazione.
Motivazione della decorazione:
Prima fra le donne bolognesi ad impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si battè sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS tedesche, sottoposta a feroci torture non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata, fu barbaramente trucidata sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso per tutti i Patrioti bolognesi nella guerra di Liberazione“. Meloncello, 14 agosto 1944.

N. a Conselice (RA), 31 agosto 1911
M. a Riva del Po (PR), 28 marzo 1945

Ines_BedeschiFin dall’8 settembre 1943, Ines Bedeschi prese parte alla Guerra di liberazione nelle file della Resistenza emiliana. Nell’aprile del 1944, quando a Bologna si costituì il “Comando unificato militare Emilia Romagna” (CUMER), Ines Bedeschi, con il nome di Bruna, ne divenne una delle più valorose staffette, distinguendosi per intelligenza e audacia. Bruna portò a termine numerosi e delicati incarichi di fiducia; catturata durante una missione, la donna fu barbaramente torturata e uccisa dai nazifascisti.
Motivazione della decorazione:
“Spinta da un ardente amor di Patria, entrava all’armistizio nelle formazioni partigiane operanti nella sua zona, subito distinguendosi per elevato spirito e intelligente iniziativa. Assunti i compiti di staffetta, portava a termine le delicate missioni affidatele incurante dei rischi e pericoli cui andava incontro e della assidua sorveglianza del nemico. Scoperta, arrestata e barbaramente torturata, preferiva il supremo sacrificio anziché tradire i suoi compagni di lotta”. — Nord Emilia (Parma ) – Riva del Po (Parma), 1º ottobre 1943 – 28 marzo 1945.

N. a Melara (RO), 19 luglio 1919
M. a Cima di Porlezza (CO), 21 gennaio 1945

bianchi copiaUmile donna di casa, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 volle partecipare attivamente alla lotta clandestina. Nella formazione partigiana “Ugo Ricci”, operante sulle montagne della zona del Lario, col nome di battaglia “Franca” fu portaordini e combattente. Il 21 gennaio 1945, dopo un violento combattimento, rifugiatasi con altri compagni di lotta in una casa di Cima di Porlezza fu con essi costretta alla resa con la promessa di avere salva la vita. I prigionieri furono invece condotti al cimitero locale e schierati contro il muro di cinta vennero falciati dalle armi automatiche. La partigiana “Franca”, rifiutò la salvezza che le veniva offerta e si unì al gruppo dei condannati, nel supremo sacrificio della vita.
Motivazione della decorazione:
Nel settembre 1943, accorreva con animo ardente nelle file dei partigiani, trasfondendo nei compagni di lotta il fuoco della sua fede purissima per la difesa del sacro suolo della Patria oppressa. Volontariamente si offriva per guidare in ardita ricognizione attraverso la impervia montagna una pattuglia che, scontratasi con un grosso reparto nemico impegnava dura lotta, cui essa, virilmente impugnando le armi, partecipava con leonino valore, fino ad esaurimento delle munizioni. Insieme ai compagni veniva catturata e sottoposta ad interrogatori e sevizie, che non piegarono la loro fede. Condannati alla fucilazione lei veniva graziata, ma fieramente rifiutava per essere unita ai compagni anche nel supremo sacrificio. Cadde sotto il piombo nemico unendo il suo olocausto alle luminose tradizioni di patriottismo nei secoli fornite dalle donne d’Italia”. Cima Valsolda, settembre 1943 – gennaio 1945.

N. a Udine, 26 ottobre 1914
M. a Trieste, 4 aprile 1945

Cecilia_DeganuttiInsegnante elementare a Castione di Strada dal 1941, frequentò i corsi di infermiera volontaria della C.R.I. presso il Comitato provinciale di Udine e prestò per qualche tempo servizio nell’ospedale civile e in quello militare di Udine. Trasferita al posto di soccorso ferroviario, ivi si trovava nel settembre 1943 quando militari e civili italiani venivano caricati nei carri bestiame e deportati in Germania. Le dolorose scene alle quali assistette la spinsero a partecipare alla lotta di resistenza e divenne partigiana. Affiancatasi al gruppo di assistenza ai feriti, disimpegnò anche opera di collegamento collaborando attivamente con i radiotelegrafisti della Missione alleata. Arrestata il 6 gennaio 1945 ad Udine sotto l’accusa di spionaggio e favoreggiamento del nemico, fu fucilata a Trieste il 4 aprile successivo.
Motivazione della decorazione:
Valorosa crocerossina, consapevole e cosciente delle tragiche ore attraversate dalla Patria invasa prendeva immediatamente la via del dovere e dava, in terra Friulana, la sua entusiastica attività al movimento della liberazione contro l’oppressione nemica. In lunghissimi mesi di lotta senza quartiere, nella volontaria diuturna feconda ed appassionata fatica metteva in luce tutta la sua purissima fede e dava ripetute prove dei sentimenti più nobili e delle virtù militari più salde. Individuata dal nemico ed esortata a porsi in salvo preferiva continuare a svolgere la sua multiforme attività patriottica finché veniva arrestata. Sottoposta a numerosi snervanti interrogatori e a ripetute torture per costringerla a svelare le fila dell’organizzazione clandestina che l’avversario sapeva a lei ben note, opponeva sempre un netto e deciso rifiuto anche quando i maltrattamenti superarono ogni limite di umana sopportazione. Non una parola usciva così dalle sue labbra. Condotta al supremo sacrificio, l’affrontava con la calma dei forti dando mirabile esempio del come la gente Friulana sa servire la Patria e per Essa morire”.
— Zona d’operazione, giugno 1944-aprile 1945

Nata a Bologna, 1907
M. a Cercina, Sesto Fiorentino (FI), 12 giugno 1944

agnolettiLaureata in lettere nel 1930, ed assunta come archivista negli Archivi di Stato fu a Firenze dal 1932 al 1939. Allontanata dall’ufficio per ragioni razziali, trovò rifugio in Vaticano dove venne impiegata nell’archivio di quella biblioteca. Propagandista animosa, organizzò i primi gruppi di resistenza politica del Partito Democratico Cristiano, a Roma e poi a Firenze, quando nel 1943 raggiunse la famiglia colà residente. A lei fecero capo, dopo l’armistizio, le organizzazioni partigiane del livornese, della Lucchesia, ella Val d’Orcia e della Val di Chiana e servì di tramite per la trasmissione di notizie politiche e militari ai comandi alleati. Si prodigò, inoltre, a favore di ebrei e ricercati politici. Pubblicò vari saggi sulla paleografia e su argomenti di storia medievale.
Motivazione della decorazione:
“Immemore dei propri dolori, ricordò solo quelli della Patria; e nei pericoli e nelle ansie della lotta clandestina ricercò senza tregua i fratelli da confortare con la tenerezza degli affetti e da fortificare con la fermezza di un eroico apostolato. Imprigionata dagli sgherri tedeschi per lunghi giorni, superò con la invitta forza dell’animo la furia dei suoi torturatori che non ottennero da quel giovane corpo straziato una sola parola rivelatrice. Tratta dopo un mese dal carcere delle Murate, il giorno 12 giugno 1944, sul greto del Mugnone, in mezzo ad un gruppo di patrioti, cadeva uccisa da una raffica di mitragliatrice: indimenticabile esempio di valore e di sacrificio”.
Firenze, 15 maggio – 12 giugno 1944

Gabriella degli ESPOSTI in REVERBERIMaria Assunta LORENZONIIrma MARCHIANIAncilla MARIGHETTO

N. a Calcara di Crespellano (BO), 1 agosto 1912
M. a San Cesario sul Panàro (MO), 17 dicembre 1944

degli_espostiAppartenente a modesta famiglia di lavoratori, originaria della frazione di Calcara del comune di Crespellano, dopo l’8 settembre 1943 diede ogni sua attività alla lotta clandestina. Staffetta partigiana con la qualifica di tenente, prestò servizio in una formazione facente capo alla Div. “Walter Trabucchi Modena”.
Motivazione della decorazione:
Due tenere figliolette, l’attesa di una terza, non le impedirono di dedicarsi con tutto lo slancio della sua bella anima alla guerra di liberazione. In quindici mesi di lotta senza quartiere si dimostrava instancabile ed audacissima combattente, facendo della sua casa una base avanzata delle formazioni partigiane, eseguendo personalmente numerosi atti di sabotaggio e contribuendo alacremente alla diffusione della stampa clandestina. Accortasi di un rastrellamento, riusciva ad allontanare gli sgherri dalla propria casa per breve tempo e, incurante della propria salvezza, metteva al sicuro le figliole ed occultava armi e documenti compromettenti. Catturata, fu sottoposta alle torture più atroci per indurla a parlare, le furono strappati i seni e cavati gli occhi, ma ella resistette imperterrita allo strazio atroce senza dir motto. Dopo dura prigionia, con le carni straziate, ma non piegata nello spirito fiero, dopo aver assistito all’esecuzione di dieci suoi compagni, affrontava il plotone di esecuzione con il sorriso sulle labbra e cadeva invocando un’ultima volta l’Italia adorata. Leggendaria figura di eroina e di martire”.
— Castelfranco Emilia, 17 dicembre 1944.

N. a Macerata, 1918
M. a Firenze, 21 agosto 1944

lorenzoniFiglia del Segretario generale dell’Istituto internazionale di agricoltura e Ordinario di economia politica nella Università di Firenze (prof. Giovanni Lorenzoni il quale morì nel 1944 nel tentativo di salvare la figlia), alla dichiarazione della seconda guerra mondiale era laureanda alla facoltà di Magistero. Crocerossina durante la guerra, dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte di uno dei gruppi di resistenza operanti a Firenze che si fusero poi nella Brig. “V” costituitasi e mantenutasi apolitica fino allo scioglimento, avvenuto nel settembre 1944. Conosciuta nell’ufficio informazioni della Brigata con la sigla “S.C. 28”, prese parte alla organizzazione di altri gruppi di informazione a Milano e in altre località del Nord, facilitando l’espatrio a numerosi ebrei e perseguitati politici. Durante i combattimenti svoltisi per la liberazione di Firenze nell’estate del 1944, dopo avere più volte oltrepassate le linee nemiche al di là del Mugnone e dell’Arno, veniva arrestata in un ulteriore tentativo per raccogliere preziose notizie per gli alleati. Rinchiusa in una cantina della villa Cisterna, cadde l’indomani, sotto una raffica di mitra tedesco in un tentativo di fuga durante l’interrogatorio.
Motivazione della decorazione:
Purissima patriota della Brigata “V”, martire della fede italiana, compì sempre più del suo dovere. Crocerossina e intelligente informatrice, angelo consolatore fra i feriti, esempio e sprone ai combattenti, prestò sempre preziosi servizi alla causa della liberazione d’Italia. Allo scopo di alleviare le perdite della Brigata, già duramente provata ed assottigliata nel corso delle precedenti azioni, onde rendere possibile una difficile avanzata, volle recarsi al di là della linea del fuoco per scoprire e rilevare le posizioni nemiche. Il compito volontariamente ed entusiasticamente assuntosi, già altre volte portato felicemente a termine, la condusse verso la cattura e verso la morte. Gloriosa eroina d’Italia, sicura garanzia della rinascita nazionale”.
— Firenze, Via Bolognese, 21 agosto 1944

N. a Firenze, 6 febbraio 1911
M. a Pavullo nel Frignano (MO), 26 novembre 1944

irmaRicamatrice, modista e pittrice, nubile. Nata il 6 febbraio 1911 a Firenze e residente a Santo Stefano di Magra (La Spezia). Cresciuta in una famiglia apertamente antifascista, tant’è che il padre ferroviere fu licenziato nel 1923 a causa delle sue idee politiche, l’anno successivo Irma dovette abbandonare la scuola, dove si era distinta per le sue doti artistiche, per andare a lavorare al fine di contribuire al bilancio famigliare. L’8 settembre 1943, quando fu annunciato l’armistizio, Irma si trovava, come di consueto, sull’Appennino modenese, nella zona del Frignano, per alcune cure essendo di salute cagionevole. Qui decise di entrare nella Resistenza operando dapprima come staffetta e informatrice per divenire, nel maggio 1944, vice comandante del Battaglione “Matteotti”, Brigata “Roveda”, Divisione “Modena”. Catturata durante la battaglia di Montefiorino mentre tentava di far ricoverare un partigiano ferito, fu seviziata e condotta nel campo di concentramento di Corticelli (Bologna). Dapprima condannata e morte e poi alla deportazione in Germania, riuscì a fuggire e a ricongiungersi con il proprio battaglione. Operò come commissario, infermiera e combattente. L’11 novembre 1944, nel tentativo di attraversare le linee con i propri compagni di lotta ormai privi di munizioni, fu sorpresa, presso Benedello, da una pattuglia tedesca insieme alla staffetta Gaetano Ruggeri. Condotta a Pavullo nel Frignano (Modena), fu processata il 26 novembre da ufficiali del Comando tedesco di Bologna che la condannarono a morte. Fu fucilata lo stesso giorno alle ore 17, vicino alle carceri di Pavullo con Renzo Costi, Domenico Guidani e Ruggeri.
Motivazione della decorazione:
Valorosa partigiana animata da grande ardimento, dopo essersi distinta per coraggio e sprezzo del pericolo nella battaglia di Montefiorino, veniva catturata dal nemico nel generoso tentativo di far ricoverare in luogo di cura un compagno gravemente ferito. Condannata alla deportazione e riuscita audacemente ad evadere, riprendeva il suo posto di lotta e partecipava ai combattimenti di Benedello battendosi con indomito coraggio e prodigandosi nella amorosa assistenza ai feriti. Caduta nuovamente nelle mani del nemico, affrontava impavida la morte, offrendo fieramente il petto al piombo che troncava la sua balda esistenza”.
— Pavullo nel Frignano, 26 novembre 1944.
Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana (http://www.ultimelettere.it), on line dal 26 aprile 2007, INSMLI, visitato domenica 31 marzo 2013.

N. a Castello Tesino (TN), 27 gennaio 1927
M. a Coazza (TN), 19 febbraio 1945

Ancilla_Marighetto

La martire più giovane, aveva 18 anni.

Il 19 febbraio 1945 veniva uccisa dai nazisti, a soli 18 anni, Ancilla Marighetto “Ora”, che faceva parte del battaglione “Gherlenda”, operativo in Tesino e inquadrato nella brigata bellunese “Gramsci”.
Il “Gherlenda” fu un raro esempio di lotta partigiana in Trentino e fu presto sgominato dagli occupanti che alla fine braccarono l’ultimo gruppetto attivo nella zona del passo Brocon. Qui “Ora” fu uccisa dopo un sommario interrogatorio da un miliziano collaborazionista trentino del Cst agli ordini dell’ufficiale tirolese Karl Julius Hegenbart.
Motivazione della decorazione:
Generosa figlia del Trentino abbandonò la propria casa e la famiglia per rispondere all’appello della Patria a cui già il padre aveva sacrificata la vita. Unitamente al fratello maggiore divise i gravi rischi e i grandi sacrifici della lotta partigiana nella stagione più rigida e in zona impervia e pericolosa. Durante un rastrellamento, con uno sci spezzato da raffiche nemiche, si rifugiò sopra un albero. Individuata, scaricò la pistola sul nemico fino ad esaurimento delle munizioni. Catturata e sottoposta a sevizie e torture non si piegò. Offertale salva la vita purché denunciasse i propri compagni, rifiutava sdegnosamente sputando in faccia ai carnefici e gridando: «Ammazzatemi, ma non tradirò mai i miei fratelli» Il piombo nemico stroncò la sua eroica esistenza”.
— Col del Tocco – Passo Broccone – Comune di Castel Tesino (Trento), 19 febbraio 1945

Clorinda MENGUZZATONorma PATRELLI PARENTIRita ROSANIModesta ROSSIVirginia TONELLI

N. a Castello Tesino (TN), 15 ottobre 1924
M. a Castello Tesino (TN), il 10 ottobre 1944

Clorinda_MenguzzatoAveva la licenza elementare e faceva la contadina.
Con l’inizio della Resistenza divenne staffetta partigiana nel battaglione Gherlenda che operava nella zona della Valsugana e del Tesino. Con il fratello Rodolfo “Menefrego” furono una delle sei coppie di fratelli che combatterono in questa importante divisione partigiana.
L’8 ottobre 1944, nel corso di un rastrellamento, venne arrestata, interrogata, torturata e seviziata per due giorni finché ridotta allo stremo si rivolse ai suoi aguzzini dicendo: “Quando non potrò più sopportare le vostre torture, mi mozzerò la lingua pur di non parlare”.
Per il suo coraggio e la sua fermezza di fronte ai suoi carnefici venne chiamata dai tedeschi “la leonessa dei partigiani”. Riposa accanto alla compagna “Ora”. (Da Trento ricorda).
Motivazione della decorazione:
Valorosa donna trentina, fu audace staffetta, preziosa informatrice, eroica combattente, infermiera amorosa. Catturata dai tedeschi oppressori, sottoposta ad atroci sevizie, violentata dalla soldataglia, lacerate le carni da cani inferociti, con sublime fierezza opponeva il silenzio alle torture più strazianti, e nell’ultimo anelito gridava agli aguzzini: « Quando non potrò più sopportare le vostre torture mi mozzerò la lingua con i denti per non parlare ». La brutalità teutone poté violarne il corpo, ma non piegarne l’anima ardente e l’invitto coraggio. La leonessa dei partigiani rimane fulgido esempio delle più nobili tradizioni di eroismo e di fede delle donne italiane”.
— Castel Tesino, 10 ottobre 1944.

N. a Monterotondo Marittimo (GR), 1 giugno 1921
M. a Massa Marittima (GR), 22 giugno 1944
Norma Patrelli ParentiCresciuta nell’Azione Cattolica, dopo l’armistizio Norma partecipò attivamente col marito alla Guerra di liberazione, nelle file della Resistenza grossetana. Inquadrata come partigiana nel Raggruppamento “Amiata” della III Brigata Garibaldi, la giovane donna si diede a raccogliere denaro e aiuti per le formazioni, diede ospitalità ai fuggiaschi, mise in salvo ex prigionieri alleati, procurò armi e munizioni e partecipò di persona a pericolose azioni di guerra.
In una piccola trattoria di Massa, gestita dalla madre, Norma ebbe modo di avvicinare e indurre alla diserzione, per raggiungere le bande partigiane, numerosi prigionieri di nazionalità straniera, che i tedeschi avevano portato in Italia utilizzandoli come truppe di complemento. Fu proprio uno di questi prigionieri, un soldato mongolo, che tradì Norma e la fece arrestare, insieme alla madre della giovane antifascista, la sera del 22 giugno del ’44.
Norma Pratelli Parenti fu fucilata la sera stessa, dopo essere stata ferocemente seviziata, dalle truppe germaniche ormai in ritirata e il suo corpo straziato fu rinvenuto all’indomani. dopo essere stata ferocemente seviziata, dalle truppe germaniche ormai in ritirata e il suo corpo straziato fu rinvenuto all’indomani (da Santi e Beati).
Motivazione della decorazione:
“Giovane sposa e madre, fra le stragi e le persecuzioni, mentre nel litorale maremmano infieriva la rabbia tedesca e fascista, non accordò riposo al suo corpo né piegò la sua volontà di soccorritrice, di animatrice, dì combattente e di martire. Diede alle vittime la sepoltura vietata, provvide ospitalità ai fuggiaschi, libertà e salvezza ai prigionieri, munizioni e viveri ai partigiani e nei giorni del terrore, quando la paura chiudeva tutte le porte e faceva deserte le strade, con lo esempio di una intrepida pietà donò coraggio ai timorosi e accrebbe la fiducia ai forti. Nella notte del 22 giugno, tratta fuori dalla sua casa, martoriata dalla feroce bestialità dei suoi carnefici, spirò, sublime offerta alla Patria, l’anima generosa”.
— Massa Marittima, giugno 1944.

N. a Trieste, 20 novembre 1920
M. a Monte Comun (VR), 17 settembre 1944

Rita_RosaniNasce a Trieste da famiglia di ebrei di origine cecoslovacca. Dal 1931 al 1938 fu alunna dell’Istituto magistrale Carducci, dalla prima media fino all’ultimo anno delle magistrali. Entrò poi a insegnare presso la scuola elementare israelita di Trieste. Come tanti ebrei italiani fu perseguitata, ma non lasciò Trieste.  Dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943 scelse la via della resistenza, svolgendo attività clandestina prima a Portogruaro, poi a Verona. Costituì la formazione partigiana “Aquila” formata inizialmente da soli quattro partigiani che combatterono in Valpolicella e sul monte Zevio facendo proseliti. Una baita era diventate la loro base sul monte Comun in provincia di Verona e lì, il 17 settembre 1944,  furono accerchiati in una operazione di rastrellamento da parte delle forze nazifasciste, erano una quindicina. Decisero una sortita. Rita uscì per prima, fu ferita, catturata e poi uccisa da un sottotenente della Guardia Nazionale Repubblicana. Aveva soltanto 23 anni.
Motivazione della decorazione:
“Perseguitata politica, entrava a far parte di una banda armata partigiana vivendo la dura vita di combattente. Fu compagna, sorella, animatrice di indomito valore e di ardente fede. Mai arretrò innanzi al sicuro pericolo ed alle sofferenze della rude esistenza, pur di portare a compimento le delicate e rischiosissime missioni a lei affidate. Circondata la sua banda da preponderanti forze nazifasciste, impugnava le armi e, ultima a ritirarsi, combatteva strenuamente finché cadeva da valorosa sul campo, immolando alla Patria la sua giovane ed eroica esistenza”.
— Monte Comun, 17 settembre 1944.

Nata a Bucine (AR), 1914
M. Solaia di Monte San Savino (AR), 26 settembre 1944

Modesta_RossiContadina e giovane madre di 5 figli, dopo l’8 settembre 1943 si schierò nella organizzazione della Resistenza insieme al marito Dario Polletti, entrando a far parte della Banda “Renzino”.
Colta in casa dai tedeschi che il 29 giugno 1944 scatenarono feroci eccidi in quella parte della provincia di Arezzo mentre accudiva ai figli, il maggiore dei quali aveva 7 anni, si rifiutò di dare qualsivoglia informazione ai rastrellatori che cercavano il marito e gli altri partigiani.
Assistette impotente all’uccisione del figlioletto di 13 mesi che teneva stretto in braccio e lei stessa fu uccisa a pugnalate. Il suo corpo, con il bambino ancora al seno, fu poi ritrovato assieme a quelli di altre 4 vittime in una capanna data alle fiamme (Da Provincia di Arezzo)
Motivazione della decorazione:
Seguiva il marito nelle impervie montagne dell’Appennino Tosco-emiliano e con lui divideva i rischi, i pericoli e i disagi della vita partigiana, animata e sorretta dalla fede e dall’amore per la Patria. Incaricata di umili mansioni assistenziali, chiedeva ed otteneva di prendere parte attiva alla lotta rifulgendo con le armi in pugno per coraggio e sprezzo del pericolo. Arrestata dai tedeschi resisteva eroicamente a torture e lusinghe e, senza proferire parola che potesse essere rivelazione, affrontava il plotone di esecuzione che spietatamente stroncò, insieme alla sua, l’esistenza di un figlioletto di appena un anno che, quale giovane virgulto, era avvinto al seno materno”.
— Zona di Solaia (Arezzo), 11 settembre 1943 -29 giugno 1944.

N. a Castelnovo del Friuli (PN), 13 novembre 1903
M. a Trieste, 29 settembre 1944

Virginia_TonelliDurante il Ventennio fu costretta ad emigrare in Francia; combatté in Spagna contro i Franchisti. Nel 1943 tornò in Italia per organizzare la Resistenza nella sua zona. Fu arrestata mentre traspotava materiale di propaganda da Udine a Trieste.
Fu torturata senza che la sua bocca tradisse nessuno, portata nella risiera di S. Sabba e lì bruciata viva.
Medaglia d’Oro al Valore Militare (1971), alla memoria.
Motivazione della decorazione:
“Partigiana animata da profonda fede e dotata di elevate doti intellettive ed organizzative, svolgeva a lungo importanti rischiosi incarichi di collegamento fra varie formazioni partigiane e gli organi direzionali del movimento di resistenza del Veneto e della Lombardia. Ricercata attivamente, veniva catturata a Trieste e sottoposta per venti giorni ad atroci, inumane sevizie allo scopo di conoscere le preziose notizie in suo possesso. Vista l’impossibilità, grazie all’eroico spirito di sacrificio della martire, di trarre le informazioni richieste, gli aguzzini, esasperati, la bruciavano viva. Sublime esempio di cosciente sacrificio in nome della libertà della Patria”.
– Trieste, 29 settembre 1944.

Iris VERSARIGina BORELLINICarla CAPPONIPaola DEL DINVera VASSALLE

N. a Portico di Romagna (FC), 12 dicembre 1922
M. a Ca’ Cornio di Tredozio (FC), 18 agosto 1944

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Figlia di Angelo Versari, residente a Tredozio, nell’autunno 1943, la famiglia ospitò nella propria casa un gruppo partigiano.
L’abitazione venne incendiata il 27 gennaio 1944 dai nazifascisti. In tale occasione, Iris riuscì a scappare, mentre i suoi familiari (il padre, la madre e due dei suoi tre fratelli) furono arrestati. Il padre, processato e condannato a quattro anni di prigione, fu internato e morì in un campo di concentramento tedesco.
Iris si unì nel gennaio 1944 alla banda partigiana comandata Silvio Corbari, al quale si legò sentimentalmente, condividendone la vita clandestina e le temerarie azioni. All’alba del 18 agosto 1944, in località Ca’ Cornio (frazione di Tredozio), la casa in cui lei e Silvio Corbari si erano temporaneamente rifugiati, assieme ad Arturo Spazzoli e Adriano Casadei, fu accerchiata dalle truppe nazifasciste, informate da una spia, che tentarono una sortita. Iris, immobilizzata a causa di una precedente ferita alla gamba, riuscì ad uccidere il primo milite nazifascista che aveva appena varcato la porta, ma durante la strenua difesa, vista l’impossibilità di muoversi e nel tentativo di non rendersi ostacolo alla salvezza con la fuga da parte dei suoi compagni, si uccise. Nonostante il suo sacrificio, Corbari, Spazzoli e Casadei durante la rocambolesca fuga vennero catturati e uccisi.  Il suo corpo esanime, assieme a quelli dei suoi compagni, fu appeso dimostrativamente una prima volta sotto i portici di Castrocaro Terme e successivamente ad un lampione in piazza Aurelio Saffi a Forlì (da Wikipedia).
Motivazione della decorazione:
“Giovane di modeste origini, poco più che ventenne, fedele alle tradizioni delle coraggiose genti di Romagna, non esitò a scegliere il suo posto di rischio e di sacrificio per opporsi alla tracotante oppressione dell’invasore, unendosi ad una combattiva formazione autonoma partigiana locale. Ardimentosa ed intrepida prese parte attiva a numerose azioni di guerriglia distinguendosi come trascinatrice e valida combattente. Durante l’ultimo combattimento, circondata con altri partigiani in una casa colonica isolata, ferita ed impossibilitata a muoversi, esortò ed indusse i compagni a rompere l’accerchiamento e, impegnando gli avversari con intenso e nutrito fuoco, agevolò la loro sortita. Dopo aver abbattuto l’ufficiale nemico che per primo entrò nella casa colonica, consapevole della sorte che l’attendeva cadendo viva nelle mani del crudele nemico, si diede la morte. Immolava così la sua giovane vita a quegli ideali che aveva nutrito nella sua breve ma gloriosa esistenza”.
— Terra di Romagna, 9 settembre 1943 – 18 agosto 1944.

N. a San Possidonio (MO), 24 ottobre 1924
M. a Modena, 2 febbraio 2007

GinaBorelliniSubito dopo l’armistizio s’impegnò prima prestando aiuto ai militari sbandati, poi come staffetta e partigiana combattente nelle formazioni del Modenese. Catturata col marito, Antichiaro Martini, fu atrocemente torturata. Per tre volte portata di fronte al plotone d’esecuzione, non dimostrò mai il minimo cedimento. Quando i fascisti la rilasciarono, rinunciò a mettersi al sicuro per restare vicina al marito prigioniero; quando questi fu fucilato, Gina riprese il suo posto di combattente. Ferita durante un’azione nell’aprile del 1945, rifiutò di essere soccorsa, per non intralciare il compito dei suoi compagni di lotta. Da sola riuscì a frenare una grave emorragia e a riparare all’ospedale di Carpi, dove i sanitari furono costretti ad amputarle una gamba. Mentre era ancora ricoverata, fu individuata dalla polizia fascista, che la sottopose ad estenuanti interrogatori. Si salvò dalla condanna alla fucilazione grazie alla resa dei nazifascisti il 25 aprile. Dopo la Liberazione, è stata consigliere provinciale di Modena, presidente dell’Unione donne italiane e dell’Associazione mutilati. È anche stata eletta deputato nella I, nella II e nella III legislatura ed ha fatto parte della Commissione Difesa della Camera.
Motivazione della decorazione (decorata in vita):
Giovane sposa, fin dai primi giorni dedicava tutta se stessa alla causa della liberazione d’Italia, rifugiando militari sbandati e ricercati e aiutandoli nel sottrarsi al servizio con i tedeschi, staffetta. Instancabile ed audacissima, trasportava armi, diffondeva opuscoli di propaganda, comunicava ordini, sempre incurante del grave pericolo cui si esponeva. Arrestata col marito, resisteva alle più atroci torture senza dire una parola sui suoi compagni di lotta. Tre volte condotta davanti al plotone di esecuzione assieme al suo consorte, continuava a tacere. Inopinatamente rilasciata, rifiutava di nascondersi in montagna per essere più vicina al marito tuttora detenuto. Fucilato questo, arrestatole un fratello, raggiunse una formazione partigiana con la quale affrontava rischi e disagi inenarrabili e non esitava ad impugnare le armi dando frequenti e luminose prove di virile coraggio. Sorpresa la sua formazione dalle Brigate Nere, gravemente ferita ad una gamba nella disperata eroica resistenza, non permetteva ai suoi compagni di soccorrerla, sola riusciva a frenare la copiosa emorragia e, traendo coraggio dal pensiero dei propri figli, si sottraeva alle ricerche nemiche. Nell’ospedale di Carpi, individuata dalla polizia fascista subisce, sebbene già in gravissime condizioni, estenuanti interrogatori, ma tace incrollabile nella decisione eroica. Amputatale la gamba, l’insurrezione la sottrae alla vendetta del nemico fuggente. Fulgido esempio di sacrificio e di eroismo”.
— Modenese, 8 settembre 1943 – aprile 1945.

N. a Roma, 7 dicembre 1918
M. a Zagarolo (Roma), 24 novembre 2000

023-capponiStudentessa di Legge, subito dopo l’8 settembre 1943 partecipò alla Resistenza romana, divenendo presto vice comandante di una formazione operante a Roma e in provincia. Nell’ottobre del 1943 per procurarsi un’arma (i suoi compagni dei GAP gliela negavano, perché preferivano riservare alle donne funzioni di appoggio), ruba la pistola a un milite della GNR, che si trovava vicino a lei in un autobus affollato. Nella primavera del 1944 è tra gli organizzatori e gli esecutori dell’azione gappista di via Rasella contro un contingente dell’esercito tedesco. Riconosciuta partigiana combattente con il grado di capitano, è stata decorata di Medaglia d’Oro al valore militare. Più volte parlamentare del PCI, membro della Commissione Giustizia nei primi anni Settanta, ha fatto parte sino alla morte del Comitato di presidenza dell’ANPI.
Motivazione della decorazione (decorata in vita):
“Partigiana volontaria ascriveva a sé l’onore delle più eroiche imprese nella caccia senza quartiere che il suo gruppo d’avanguardia dava al nemico annidato nella cerchia dell’abitato della città di Roma. Con le armi in pugno, prima fra le prime, partecipava a decine di azioni distinguendosi in modo superbo per la fredda decisione contro l’avversario e per spirito di sacrificio verso i compagni in pericolo. Nominata vice comandante di una formazione partigiana guidava audacemente i compagni nella lotta cruenta, sgominando ovunque il nemico e destando attonito stupore nel popolo ammirato da tanto ardimento. Ammalatasi di grave morbo contratto nella dura vita partigiana, non volle desistere nella sua azione fino a fondo impegnata per il riscatto delle concusse libertà. Mirabile esempio di civili e militari virtù del tutto degna delle tradizioni di eroismo femminile del Risorgimento italiano”.
— Roma, 8 settembre 1943 – 6 giugno 1944.

N. Pieve di Cadore (BL), 22 agosto 1923

deldinSi era appena laureata in Lettere all’Università di Padova quando, sopravvenuto l’armistizio, entrò nelle file della Resistenza veneta con il fratello Renato. Dopo la morte del fratello assolse numerosi e rischiosi incarichi, tra i quali quello di passare le linee nemiche e consegnare dei documenti a Firenze agli alleati. Una volta nell’Italia liberata, la ragazza chiede di frequentare un corso per paracadutisti, per poter tornare più facilmente al Nord. La sua determinazione è tale che viene accontentata ed addestrata a San Vito dei Normanni. Prende parte ad undici voli di guerra. Alla vigilia della Liberazione si fa portare in aereo su una zona del Friuli, dove deve prendere contatto con una missione alleata; tocca terra in malo modo, si frattura una caviglia, ma riesce faticosamente a raggiungere i partigiani e a consegnare i documenti che ha con sé. Negli ultimi giorni della guerra di liberazione, ancora claudicante, attraversa a più riprese le linee di combattimento per portare messaggi ai reparti alleati in avanzata. Dopo la Liberazione, vinta una borsa di studio, si trasferisce negli Stati Uniti. All’Università di Pennsylvania consegue il titolo di “Master of Arts”. Tornata in Italia, la Del Din si dedica all’insegnamento nelle scuole medie. Nel 1957 riceve la massima ricompensa militare italiana.

Lettera scritta dalla prof.ssa Dal Din, indirizzata agli studenti della Università degli Studi Roma Tre, in occasione della inaugurazione della mostra itinerate “DONNE decorate di Medaglia d’Oro al Valore Militare” 18 marzo 2015

Motivazione della decorazione:
Dopo aver svolto intensa attività partigiana nel Friuli nella formazione comandata dal fratello, ad avvenuta morte di questi in combattimento, viene prescelta per portare al Sud importanti documenti operativi interessanti il Comando alleato. Oltrepassate a piedi le linee di combattimento dopo non poche peripezie e con continuo rischio della propria vita ed ultimata la sua missione, chiedeva di frequentare un corso di paracadutisti. Dopo aver compiuto ben undici voli di guerra in circostanze fortunose, riusciva finalmente, unica donna in Italia, a lanciarsi col paracadute nel cielo del Friuli alla vigilia della liberazione. Nel corso dell’atterraggio riportava una frattura alla caviglia ed una torsione alla spina dorsale, ma nonostante il dolore lancinante, la sua unica preoccupazione era di prendere subito contatto con la Missione alleata nella zona per consegnarle i documenti che aveva portato con sé. Negli ultimi giorni di guerra, benché claudicante, passava ancora ripetutamente le linee di combattimento per recapitare informazioni ai reparti alleati avanzanti. Bellissima figura di partigiana seppe in ogni circostanza assolvere con rara capacità e virile ardimento i compiti affidatile, dimostrando sempre elevato spirito di sacrificio e sconfinata dedizione alla causa della libertà”.
— Zona di operazione, settembre 1943 – aprile 1945

N. a Viareggio (LU), 21 gennaio 1920
M. a Cavi di Lavagna (GE), novembre 1985

525px-Vera_VassalleDopo l’armistizio Vera si unì al gruppo di resistenti coordinato dal cognato Manfredo Bertini.
Vera parte il 14 settembre 1943 e dopo due settimane passa il fronte nei pressi di Montella d’Irpinia (AV), riuscendo a mettersi in contatto con ufficiali dell’esercito americano. In risposta alle necessità dei partigiani versiliesi le viene affidata la missione, nome in codice “Rosa”, di stabilire un contatto radio clandestino per coordinare le azioni alleate con quelle partigiane.
Dopo un breve periodo di apprendistato a Napoli presso l’Ufficio Servizio Strategico Americano, Vera riparte per un lungo tragitto che attraverso varie città del meridione e passando per la Corsica le permette di sbarcare a Castiglion della Pescaia con un motosilurante.
Portando con sé l’apparecchiatura ricetrasmittente dissimulata come bagaglio a mano, sfuggendo a perquisizioni e a numerosi imprevisti il 19 gennaio 1944 Vera è di nuovo a Viareggio. In un primo tempo i tentativi di creare la radio clandestina fallirono per la negligenza del radiotelegrafista. Vera fu costretta a ripartire cercando un contatto a Milano, dal quale riuscì a ottenere nuovi piani di trasmissione e la promessa di un nuovo radiotelegrafista: Mario Robello venne designato per assumere l’incarico. Robello, detto “Santa”, venne paracadutato sull’Alpe delle Tre Potenze e a fine marzo Radio “Rosa” potè cominciare le trasmissioni. L’attività frenetica della radio ottenne 65 lanci alleati per i partigiani versiliesi e altri ne ottenne per formazioni partigiane dislocate in altre zone della Toscana. Il 2 luglio 1944 a seguito di una delazione Vera, Mario e alcuni loro collaboratori furono costretti ad una fuga rocambolesca e ad interrompere la loro attività clandestina, salvando però le carte più preziose.
Finita la guerra Vera Vassalle e Mario Robello si sposeranno, trasferendosi in Liguria. Vera condurrà la sua professione di insegnante elementare e di attiva partecipazione politica con il Partito Comunista fino all’85, anno in cui morirà di un male incurabile. (Da Resistenza Toscana)
Motivazione della decorazione (2003):
Ventiquattrenne, di eccezionali doti di mente, d’animo e di carattere, all’atto dell’armistizio, incurante di ogni pericolo, attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato per essere impiegata contro il nemico. Seguito un breve corso d’istruzione presso un ufficio informazioni alleato, volontariamente si faceva sbarcare da un Mas italiano, in territorio occupato dai tedeschi. Con altro compagno R. T. portava con sé una radio e carte topografiche, organizzava e faceva funzionare un servizio dì collegamento fra tutti i gruppi di patrioti dislocati nell’appennino toscano, trasmettendo più di 300 messaggi, dando con precisione importanti informazioni di carattere militare. La sua intelligenza e coraggiosa attività rendeva possibile sessantacinque lanci da aerei a patrioti. Sorpresa dalle SS. tedesche mentre trasmetteva messaggi radio riusciva a fuggire portando con sé codici e documenti segreti e riprendeva la coraggiosa azione clandestina. Pochi giorni prima dell’arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati. Animata da elevati sentimenti, dimostrava in ogni circostanza spiccato sprezzo del pericolo. Degna rappresentante delle nobili virtù delle donne italiane”.
— Italia occupata, settembre 1943 – luglio 1944.