Seconda Guerra d’Indipendenza 1859
La seconda guerra d’indipendenza fu preparata sostanzialmente da Camillo di Cavour, il quale, salito alla presidenza del Consiglio dei Ministri piemontesi nel 1852, intuì che la soluzione del problema dell’unità e della indipendenza italiane poteva essere risolto soltanto quando fosse proiettato sul piano europeo, quando cioè la questione italiana fosse inserita come elemento rilevante nella politica internazionale delle grandi potenze europee. Conscio che, con le sole sue forze, il Regno di Sardegna non sarebbe mai riuscito a cacciare l’Austria dalla penisola, cercò di stringere legami con la potenza che, per motivi di ordine interno e internazionale, poteva assumersi il ruolo di rivale dell’Austria in Italia: la Francia, il cui imperatore Napoleone III, desideroso di gloria militare, era convinto che, nell’Europa del XIX secolo, il principio di nazionalità avesse ormai sostituito il principio dinastico. La politica di avvicinamento del Piemonte alla Francia napoleonica si concretò con gli accordi di Plombières (21-22 luglio 1858), in forza dei quali Napoleone III sarebbe sceso in campo per aiutare il Piemonte, nel caso che questo fosse attaccato dall’Austria. Dopo alterne vicende diplomatiche, che parvero, a un certo momento, far fallire la politica di Cavour, la situazione precipitò verso la guerra a causa, dell’ultimatum che il gabinetto di Vienna inviò a Torino il 25 aprile 1859, imponendo al Piemonte il disarmo immediato: se Torino non avesse accettato, l’Austria avrebbe dichiarato guerra. Era, questo, il casus belli desiderato da Cavour, che avrebbe permesso al dispositivo dell’alleanza difensiva Franco-piemontese di entrare in azione. Fedele ai patti, Napoleone III mobilitava il suo esercito e lo avviava in Italia attraverso il Cenisio e, per mare, verso Genova. Nello stesso giorno in cui il Piemonte dichiarava guerra all’Austria, un movimento di popolo obbligava il granduca di Toscana ad abbandonare il Paese, dove non doveva più tornare. Il governo granducale fu sostituito da un governo provvisorio costituzionale. Dei tre eserciti in campo, quello austriaco al comando del Gyulai condusse l’azione in maniera irresoluta varcando il Ticino a Pavia solo dopo alcuni giorni, dando così il tempo ai Piemontesi di schierarsi attorno alla fortezza di Alessandria, a protezione della Capitale e in attesa dell’arrivo degli alleati. Arrivato l’esercito napoleonico (più di 100.000 uomini), le forze franco-piemontesi iniziarono una vigorosa controffensiva, che le portò, dopo la vittoria di Palestro (30-31 maggio 1859), a passare il Ticino per muovere su Milano, mentre Garibaldi, che aveva organizzato un corpo di volontari, operava con successo nella zona di Varese e di Como. Il tentativo austriaco di arrestare l’avanzata franco-piemontese su Milano fu infranto nella grande battaglia di Magenta (4 giugno), dopo la quale gli Austriaci si ritirarono fino alla line a del Mincio e richiamarono le forze che tenevano a Parma, a Modena e nelle Romagne. Questi eventi provocarono la fuga dalle loro sedi dei sovrani di Parma e di Modena e dei funzionari pontifici delle Romagne, incalzati da movimenti popolari che proclamarono governi provvisori. Anche le Marche e l’Umbria tentarono di insorgere, ma furono domate con feroce energia dalle truppe pontificie (20 giugno 1859). Frattanto l’esercito austriaco, riorganizzato e rafforzato nella sua base di Verona, tentò una grande azione di riscossa per riprendere Milano. Ciò portò alla sanguinosa battaglia di San Martino e Solferino (24 giugno). La vittoria conseguita dai franco-piemontesi sembrò aprire la via per un’azione al di là del Mincio, nel Veneto, dato che anche la flotta riunita franco-piemontese era giunta nell’alto Adriatico, quando improvvisamente l’imperatore francese offrì all’imperatore d’Austria un armistizio, che fu segnato a Villafranca l’8 luglio 1859, e seguito, l’11 luglio, dai preliminari di pace. Questo gesto attirò su Napoleone III l’esecrazione furibonda delle correnti patriottiche, ma in realtà l’imperatore francese era stato costretto all’armistizio dal timore di essere attaccato sul Reno dalla Prussia, e dalla opposizione tenace che , all’interno della Francia, suscitava contro di lui, a causa della guerra, il partito clericale francese. Il coraggio delle popolazioni, l’avvedutezza dei Governi provvisori e l’abilità di Cavour, tornato al potere dopo una breve parentesi dovuta al suo sdegno per l’armistizio di Villafranca, impedirono che Parma, Modena e Firenze tornassero gli antichi sovrani, e permisero che questi territori si unissero alla monarchia sabauda, grazie a plebisciti. La pace di Zurigo (10 novembre 1859), che aveva sanzionato i preliminari di Villafranca, in forza dei quali soltanto la Lombardia sarebbe toccata al re di Sardegna, fu così superata dagli avvenimenti, e dopo la spedizione dei Mille e la conseguente occupazione delle Marche e dell’Umbria, si giunse alla proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861).