Prima Guerra d’Indipendenza 1848-1849
La prima guerra d’indipendenza italiana (1848-49), preparata dalla vittoriosa insurrezione di Milano contro gli Austriaci (18-22 marzo 1848), ebbe inizio con l’intervento del re di Sardegna, Carlo Alberto, in aiuto degli insorti Lombardi (23 marzo 1848), e significo l’unione delle sorti piemontesi e sabaude con quelle nazionali italiane. L’esercito piemontese, passato il Ticino (26 marzo) e rafforzato da contingenti di volontari e dai corpi che gli altri principi italiani, sotto la spinta dell’opinione pubblica, avevano mandato in aiuto, si attestò sulla linea che da Peschiera andava fino a Mantova, e pose l’assedio a queste due fortezze austriache.
La strategia di Radetsky, comandante in capo austriaco, fu di guadagnare tempo e di lasciare che i piemontesi si logorassero in una difficile guerra d’assedio. Per tutto il mese di maggio, la guerra rimase ferma sulla linea Peschiera-Mantova. L’iniziativa fu presa da Radetzky, il quale dalla notte dal 27 al 28 maggio 1848, fece uscire un buon numero di truppe da Verona, portandole, con una ardita marcia di fianco, di cui i Piemontesi non si accorsero, verso Mantova, per liberare dall’assedio quell’importante piazzaforte e aggirare sul fianco destro lo schieramento sardo. La manovra austriaca fu bloccata dal sacrificio del battaglione Volontari Toscani, che, il 29 maggio, a Curtatone e a Montanara, fermò l’avanzata austriaca, permettendo al comando supremo piemontese di raccogliere un buon numero di truppe. Queste, a Goito, il 30 maggio, bloccarono la manovra austriaca, infliggendo agli Imperiali una dura sconfitta. Nello stesso giorno, cadeva in mano ai Piemontesi la fortezza di Peschiera. Ma le sorti ben presto mutarono. Mentre l’esercito austriaco riceveva continuamente rinforzi e si riorganizzava efficacemente, l’armata sarda si logorava nell’assedio di Mantova, ed era travagliata dall’indisciplina dei contingenti volontari, buoni combattenti, ma non sempre buoni soldati, e da una grave crisi di organizzazione dei servizi. Così, quando il Radetsky, il 23 luglio 1848, scatenò un’offensiva contro tutta la linea piemontese, la lotta, asprissima, che ebbe il suo epicentro attorno a Custoza, si concluse con la sconfitta di Carlo Alberto, che fu costretto ad ordinare la ritirata. Un tentativo di arrestare gli Austriaci sotto Milano finì in un altro insuccesso. Carlo Alberto chiese allora un armistizio, concesso e firmato il 9 agosto a Vigevano, armistizio detto di Salasco, dal nome del generale piemontese che lo sottoscrisse da parte del re. La ripresa della guerra, nel marzo del 1849, fu voluta dalle correnti democratiche piemontesi, salite al governo del Paese. La nuova fase del conflitto durò tre giorni (20-23 marzo) e fini con la sconfitta di Novara (23 marzo), in seguito alla quale Carlo Alberto abdicò alla corona in favore del figlio Vittorio Emanuele, il quale concludeva il 26 marzo l’armistizio di Vignale (occupazione della Lomellina e del Novarese da parte degli Austriaci, ritiro delle truppe piemontesi da Piacenza, Modena e Toscana; riduzione dell’esercito piemontese). La pace definitiva fu segnata a Milano il 10 agosto 1849. La guerra per l’indipendenza si era iniziata con l’unione apparente di tutti i principi italiano nella lotta contro l’Austria (federalismo), ma l’unione si sfasciò, non appena il papa e il re di Napoli ebbero richiamato, rispettivamente il 29 aprile e il 15 maggio, le truppe da loro inviate contro l’Austria. Ciò valse a dimostrare che l’esistenza dello stato pontificio e del regno di Napoli era contraria agli interessi nazionali, e costituì il primo grave colpo alla concezione federalista.