Squadrone “F” (“F”recce Squadron)
I Cala-Mai
“I Cala-mai sono calati per liberarvi, o fiorentini”: questo il testo di alcuni manifesti improvvisati che, intorno all’8 agosto 1944, le pattuglie dello Squadrone «F» lanciarono lungo il loro percorso in azioni di ricognizione condotte oltre la sponda destra dell’Arno. Lo Squadrone «F», come chiameremo per brevità il 1° Squadrone da ricognizione «Folgore» – e che soldati e ufficiali dell’Ottava Armata britannica chiamavano «F» recce Squadron – era costituito prevalentemente di paracadutisti: gli stessi che, prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943, a causa del mancato impiego in quanto tali venivano chiamati «Cala-mai».
Un epiteto di origine popolaresca, spesso pronunciato con risentimento, specie nel rione di Santa Croce dove, già nel ’42, i paracadutisti si erano trovati più volte al centro di tafferugli – in via de’ Pepi, persino d’uno scambio di colpi d’arma da fuoco a causa di certe intemperanze che in quei tempi di tensione e di scollamento sociale si manifestavano specialmente nei luoghi frequentati da militari in libera uscita. Più spesso quando si trattava di paracadutisti: più spavaldi, più esaltati dalla propaganda bellicista e conseguentemente più pronti ad accendersi e scatenarsi in zuffe e diverbi.
Il manifesto dello Squadrone «F» rivelava piena consapevolezza di questi precedenti; nonché una precisa volontà di riscattarsene, di mostrare come i loro autori fossero della buona tempra di quegli italiani i quali, nonostante lo sfacelo morale e materiale in cui era precipitato il loro Paese, avevano saputo trovare la strada giusta; e che ora intendevano percorrerla fino in fondo con coraggio e abnegazione. A Ponte a Ema, alle porte meridionali di Firenze – la martoriata città che ora attendeva anche da loro la propria liberazione – lo Squadrone ci era arrivato con dieci nomi di Caduti nel proprio Albo d’Onore: in media, uno per ogni mese dell’attività di guerra che già aveva alle spalle. Era, proprio in questa piccola e ridente frazione fiorentina, ha stabilito il proprio cimitero di guerra con le prime sette fosse scavate in una sola volta.
Una prima pattuglia dello Squadrone “F”, guidata dal comandante capitano Carlo Francesco Gay, arriva a Ponte a Ema la sera del 5 agosto provenendo da Strada in Chianti, dove il reparto ha trascorso qualche giornata di riposo dopo aver operato nella zona di Figline Valdarno. Il capitano Gay, con lo stesso spirito rivelato dal manifesto, chiede subito al generale comandante della IV Divisione inglese il privilegio per lo Squadrone di essere il primo reparto di liberatori a entrare in Firenze. Fino a questo momento, le avanguardie del XIII Corpo britannico hanno occupato l’Oltrarno assieme alle brigate partigiane «Sinigaglia» e «Lanciotto», ma i tre quarti della città – compreso il centro storico – sono ancora in mano alle retroguardie della IV Divisione paracadutisti germanica: l’Arno, i cui ponti sono stati distrutti nella notte fra il 3 e il 4 scorsi, si opporrà ancora per una settimana alla liberazione della maggior parte dei fiorentini.
Poche persone affronteranno l’attraversamento del fiume, durante questa attesa lunga e angosciosa: fra queste, i primi sono alcuni uomini dello Squadrone «F», quattro in abiti civili e gli altri in assetto da guerra per scortarli. All’alba del 6 agosto, costoro raggiungono il Fosso alle Grazie dove prendono contatto con quei partigiani della brigata «Caiani» che sono riusciti a superare lo sbandamento della notte precedente presso i Tre Pini. Poi la pattuglia armata istituisce un osservatorio avanzato sulla sponda dell’Arno, mentre i quattro in ambiti civili si spingono verso Settignano per raccogliere informazioni sul dispositivo nemico.
A mezzogiorno dell’indomani, 7 agosto, l’intero Squadrone lascia Strada in Chianti per portarsi sulla base operativa di Ponte a Ema, dov’è accolto da un fitto cannoneggiamento: al tenente Angelo Fenoglio viene subito comandato di rilevare, col proprio plotone, la pattuglia che presidia l’osservatorio avanzato. Occorre prelevare viveri e munizioni, una camionetta deve affrontare una strada tanto battuta dall’artiglieria tedesca che alcuni patrioti locali si sono acquattati contro la scarpata. A bordo, agli ordini del Sergente Attilio Montanari, oltre all’autiere Leandro Millefiorini vi sono altri tre rappresentanti delle varie specialità presenti nello Squadrone: il paracadutista Arcangelo Cruciani, il marinaio Mario Allegrini e il cavalleggero Vladimiro Vaselovski.
«Sembrava che neanche si curassero delle granate che gli piovevano intorno», racconta Roberto Della Lunga, uno dei patrioti acquattati. «Anzi, vedendoci, ci hanno chiamati fifoni». Ma poco dopo, lo stesso Dalla Lunga, recandosi nella vicina aia della famiglia Guerrini, può vedere accanto alla camionetta colpita sei corpi dilaniati: uno è del caporale Giovanni Tognetti il quale, assieme al tenente Fenoglio, ha cercato di soccorrere i commilitoni. Fenoglio, ferito gravemente, viene trasportato d’urgenza nell’ospedale inglese n. 8 SA installato a Greve in Chianti.
Così, uno dei quattro plotoni da ricognizione è stato drasticamente decimato.
Ma la mutilazione resta solo negli affetti dei compagni, non nell’organico dello Squadrone che si mantiene superiore ai duecento effettivi grazie al contemporaneo arrivo da Roma di un gruppo di complementi al seguito del capitano paracadutista Carlo Bonciani; il quale, alla pari del collega Lelio Pellegrini Quarantotti, assume il ruolo di vicecomandante dello Squadrone.
da “Il Secondo Risorgimento d’Italia. Speciale : i gruppi di Combattimento”, Giovanni Frullini, Del Reparto dell'”impossibile” o dello Squadrone “F” (“F” recce Squadron), ANCFARGL Nazionale, Roma, 1995 (Disponibile presso la Biblioteca “Lorenzo Lodi”)
La mattina del 27 agosto lo Squadrone «F» si trasferisce a Viesca, a nord-est di Figline Valdarno, dove l’indomani mattina viene passato in rassegna dal comandante del XIII Corpo. Sir Sidney Kirchman elogia il capitano Gay e i suoi uomini per il valore che hanno dimostrato fino dallo sfondamento della Linea Hitler e, successivamente, della Linea Gustav; e, riferendosi al prossimo attacco alla «Gotica», ultima linea della ritirata tedesca, conclude testualmente: «Ora dalla piana risalite sui monti che guardano alla Gotica che è il nostro nuovo obiettivo. Sono certo che anche lassù opererete con la tradizionale prontezza e audacia con cui avete sempre operato. Arrivederci e buona fortuna».
L’indomani, 29 agosto, il capitano Gay viene convocato dal comandante della VI Divisione corazzata «Pugno di Ferro», a ricevere le direttive per il nuovo ciclo operativo. Il quale in sostanza consiste nel fiancheggiare sulla destra l’avanzata della divisione, stabilendo così il collegamento tattico fra il XIII e il X Corpo britannici mediante l’occupazione di alcuni centri casentinesi per controllare le principali vie di comunicazione fra la Consuma e Strada in Casentino.
Lo stesso pomeriggio, lo Squadrone «F» si sposta a Reggello. Nel pomeriggio del 30 agosto, lo Squadrone inizia lo scavalcamento del Pratomagno diviso in due scaglioni, con un intervallo di circa tre ore l’uno dall’altro.
Al secondo scaglione, è stata aggregata una sezione di salmerie indiane, con 26 muli. Il primo scaglione, comandato dal capitano Bonciani e costituito dai plotoni Ganzini e Montefusco, punta direttamente su Montemignaio. Fra Reggello e il varco di Gastra, lo Squadrone ripercorre in senso inverso, a oltre un mese di distanza, una delle vie seguite dalla divisione partigiana Arno nella marcia di avvicinamento a Firenze.
Nella giornata del 31 agosto, i plotoni del secondo scaglione, si muovono lungo varie direzioni sulla sommità del Pratomagno, toccando le località che nei mesi scorsi hanno servito di base ai partigiani: mentre il plotone Capanna prende contatto con il «Lovat Scouts» del X Corpo presso la Croce, dov’era il comando di «Potente», il plotone di Cavorso raggiunge Cetica: il paesino che lo scorso 29 giugno era stato teatro d’una battaglia sostenuta dalla brigata «Lanciotto», la più importante tra quelle toccate al movimento partigiano fiorentino.
Più tardi, Cavorso e i suoi paracadutisti discendono fino a Prato del Casentino, intercettando e mettendo in fuga una pattuglia nemica.
Il 1° settembre, settimo giorno dell’offensiva generale che peraltro non ha conseguito progressi rilevanti, la parte di Squadrone «F» agli ordini del capitano Bonciani lascia Montemignaio dirigendosi a nord verso il poggio Pomponi, mentre dalla Consuma i mortai inglesi martellano le posizioni dei tedeschi: sul terreno giacciono diversi nemici uccisi. Dai documenti d’uno di costoro, certo Franz Schònebach, Bonciani deduce che appartenevano alla 8^ compagnia della IV Divisione: erano dunque, anche loro paracadutisti.
A Caiano, però, i paracadutisti italiani si scontrano con una pattuglia di granatieri: ne uccidono sette e ne catturano due. Lo Squadrone subisce solo due feriti.
I tedeschi reagiscono due giorni più tardi attaccando la vetta del Pomponi, dove frattanto si era portato il plotone del tenente Capanna. I nemici sono molto superiori di numero; e un’altra mezza compagnia sta intervenendo di rincalzo. Il plotone del tenente Cavorso interviene intercettando questo reparto e impegnandolo in un combattimento che dura più di tre ore. Tuttavia, sulla vetta la situazione permane critica per il plotone asserragliato in una casa colonica: Capanna ordina ai suoi uomini di sganciarsi in direzione di un boschetto e, insieme al sergente Boccherini, resta a proteggerli mentre attraversano un prato allo scoperto. A sera inoltrata, gli uomini del plotone raggiungono a valle, alla spicciolata, il reparto del capitano Bonciani; mancano, però, il tenente Eldo Capanna e il sergente Otello Boccherini: due valorosi che sono stati fra i fondatori dello Squadrone.
La mattina seguente, 4 settembre, lo Squadrone contrattacca rabbiosamente la vetta del Pomponi, uccidendo e catturando diversi nemici. Sul prato vicino alla casa colonica, giacciono però anche i corpi di Capanna e di Boccherini, orribilmente torturati e finiti a colpi di bastone. I tedeschi catturati dichiarano che ne sono stati autori i camerati del reparto che hanno rilevato proprio stamani: la 3^ compagnia del V battaglione del 578° reggimento della 305 a Divisione. Ma è anch’esso un reparto della Wehrmacht.
LAlbo dello Squadrone «F» ha ora venti Caduti e due medaglie d’Oro. E non è finita; anche se l’offensiva del XV Gruppo di Armate va rallentando tra le impervie montagne dell’appennino tosco-romagnolo, infine congelandosi per oltre cinque mesi a ridosso della Linea Gotica. In questa fase pre-invernale, i! 16 ottobre 1944, allo Squadrone si presenta una sola occasione di impiego cruento: l’assalto a una postazione nemica presso Montalto Vecchio, nella zona di Prernilcuore.
Un’altra azione brillante, questa volta facilitata dal fatto che tra i venti difensori della postazione, sette sono di origine russa; e si arrendono immediatamente. L’assalto successivo, durante il quale restano feriti il sergente maggiore Umberto De Giorgio e il sergente Domenico Nadalin, si conclude con l’uccisione di cinque tedeschi e la cattura degli altri.
Circa’ due mesi e mezzo più tardi, all’inizio del quinto anno di guerra, lo Squadrone «F» prende posizione sulla Linea Gotica nella zona di Casola Valsenio. Le operazioni di guerra si sono bloccate da oltre un mese, la Italian Campaign segna il passo apparentemente a causa dell’inverno, ma in realtà perché lo sforzo principale degli Alleati è concentrato sul fronte francese.
Questo lungo periodo di stasi invernale, da una parte aggrava l’attesa della liberazione da parte degli italiani del Nord, dall’altra consente però una più ampia partecipazione del risorto esercito italiano all’ultima fase della guerra di liberazione.
Sul fronte del Senio, i paracadutisti del capitano Gay non sono i soli italiani in linea: alla loro destra, dove inizia il settore tenuto dal II Corpo polacco del generale Wladislaw Anders, ci sono i partigiani abruzzesi di Ettore Troilo, ovvero la brigata «Majella» inquadrata nella divisione Kressowa.
li 7 febbraio, l’intera divisione polacca sarà sostituita in linea dal Gruppo di Combattimento «Friuli», mentre da un paio di settimane il «Cremona» è già schierato nel settore di Alfonsine e il «Legnano», alle dipendenze della Quinta Armata americana, sta per entrare in azione a sud di Bologna.
Intanto, anche se resta bloccata, la prima linea del fronte non è completamente immobile: le pattuglie si muovono, tra un caposaldo e l’altro, o per spiare i movimenti nemici o per correggere le proprie posizioni; e così, almeno a livello dei singoli, l’occasione di morire non subisce alcuna stasi invernale.
Anche lo Squadrone «F», stretto nella gola del Senio dominata dal monte Gesso, perde altri due uomini; e proprio il 25 febbraio, quando riceve il cambio in linea da un battaglione
del reggimento «San Marco» del Gruppo «Folgore», ormai schierato anch’esso sul terreno della battaglia risolutiva. 10 Squadrone, che ha perduto i paracadutisti Ferdinando Gardini e Giacomo Leti, più dieci feriti (Erriu, Chiti, Filpa, Furlan, Masciavè, Pastorino, Tambosso, Trappolin, Visinoni e per la seconda volta De Giorgio) viene finalmente mandato a riposo nella sua base di Fiesole.
Un riposo che dura appena quattro giorni. Questa volta è la 25^ Brigata Indiana a richiedere l’ormai prestigioso Squadrone: sul fronte del Sillaro, presso Montegrande (Castel San Pietro), vi sono da compiere nel dispositivo nemico azioni di esplorazione e di assaggio nelle quali gli uomini del capitano Gay sono largamente riconosciuti come maestri. Qualche volta, le azioni di assaggio diventano veri e propri assalti contro le postazioni più avanzate; come capita al plotone del tenente Cavorso a Casa Raggi, il 26 marzo.
Quello stesso giorno, il generale comandante la «Eight Army» (Ottava Armata), sir Richard Mac Crety, richiama alle proprie dipendenze lo Squadrone «F» poiché, come egli scrive nella lettera al capitano Gay, «È allo studio una operazione speciale nella quale sarà impiegato un nucleo di paracadutisti italiani».
Della operazione speciale preannunciata dal generale Mac Creery, e che prenderà il nome Harring, saranno protagonisti duecento paracadutisti che il comandante dell’Ottava Armata
non richiede soltanto al «Nembo» l’altro reggimento (oltre il citato «San Marco») del Gruppo di Combattimento «Folgore», in quanto, come scrive ancora Mac Creery al capitano Gay, «in considerazione delle magnifiche azioni compiute dal suo reparto durante gli ultimi 15 mesi, alle dipendenze del XIII Corps, desidero che lei scelga 5 ufficiali e 100 paracadutisti per questo compito».
Mac Creery desidera anche che essi si offrano volontariamente, ma non eiste certo il problema di chi voglia parteciparvi; a cominciare dal comandante Gay e dal suo vice Bonciani, nonostante che la loro età di quarantacinquenni non sia la più indicata per lanci da bassa quota . Il vero problema è quello di scegliere, ovvero di respingere i volontari in eccedenza : cosa che si presenta difficile anche nel caso di Amelio De Iuliis, un giovane abruzze che non ha nemmeno il brevetto di paracadutista.
La vera battaglia per la liberazione di Firenze incomincia poco dopo le ore 6 dell’11 agosto 1944; e per una settimana sarà aspra sulla linea Mugnone-Ferrovia nord, per rifluire poi nelle zone periferiche e concludersi il 1° settembre con la liberazione di Careggi e di Fiesole. Il segnale che fa scattare il piano insurrezionale viene dato dai rintocchi della Martinella, la campagna di Palazzo Vecchio il cui battaglio è rimasto legato fin dall’inizio della guerra, ma l’andamento della battaglia anziché dal piano del Comando Militare risulta determinato: in principio dalla tattica dei tedeschi (i quali, dopo aver fatto saltare i ponti sul Mugnone, hanno evacuato spontaneamente il centro cittadino); in seguito dalla combattività delle forze patriottiche. Tra le quali, le prime a entrare in azione sono la SAP (Squadre di Azione Patriottica) della III zona (il centro della città), che nella ricerca del contatto col nemico hanno finito col costituire il proprio fronte su un arco che grossomodo corrisponde ai viali di circonvallazione; e sul quale si attesteranno poi anche le brigate partigiane «Rosselli», «Sinigaglia», e «Lanciotto». La «Sinigaglia» e metà della «Lanciotto» (l’altra metà era già penetrata clandestinamente in città) provengono dall’Oltrarno; e l’attraversamento della pescaia di Santa Rosa da parte di questi partigiani, è stato poi assunto a simbolo della liberazione di Firenze ; ma in realtà si è trattato di un semplice trasferimento. Ben più drammatico è stato il forzamento del fiume all’esterno della zona urbana, da parte di singole pattuglie d’assaggio; specie per quella guidata dal partigiano della «Lanciotro» «Pantera» (Marcello Bellesi), colpito a morte mentre stava per raggiungere la sponda delle Cascine.
Dalla parte opposta, a monte del ponte di Ferro, un’altra pattuglia della «Lanciato» guidata dallo «Sceriffo» (Carlo Martelli), riesce invece a toccare incolume la sponda destra e a portarsi poi, con un solo scontro e senza perdite, nel centro della città. Lo stesso percorso, ma in senso inverso, viene compiuto da un comando inglese che, dopo aver attraversato l’Arno nel corridoio vasariano sul Ponte Vecchio, verso mezzogiorno si incontra in piazza Beccaria con una pattuglia dello Squadrone «F». Quindi questa pattuglia, comandata dal tenente Cappellani, raggiunge Rovezzano dove viene informata che nel vicino casello ferroviario è postata in posizione dominante una mitragliatrice tedesca. Cappellani decide immediatamente di attaccarla. Sgominata là postazione nemica, Cappellani e i suoi paracadutisti tornano verso l’abitato di Sant’Andrea con tre prigionieri e due donne che stavano con loro; ma un quarto tedesco, benché ferito, è riuscito a sfuggire alla cattura e a raggiungere villa Montalbano, da dove si scatena la reazione dei mortai nemici che colpiscono mortalmente Silvano Corti e, nel tentativo di soccorrerlo, la generosa Gina Mattioli Maccari. Restano feriti Ugo Galli, Spartaco Cappugi e il sergente maggiore dei paracadutisti Carlo Scalambra .
In seguito, ritroveremo il plotone del tenente Scaranari acquartierato nella villa «La Gherardesca», presso il piazzale Donatello, e quindi inserito nel fronte tenuto da varie formazioni di patrioti e dai partigiani della brigata «Lanciotto», nella parte nordorientale della città; mentre gli altri plotoni dello Squadrone «F» operano a oriente della zona urbana, fino a Le Sieci. Per tre intere giornate, in questa stessa zona e infine fra Le Sieci e Pontassieve – dove due settimane più tardi passerà l’offensiva la Divisione Indiana – i plotoni Ganzini, Fenoglio (il cui comando è stato preso dal maresciallo Abelardo Iubini) e Capanna, compiono un’intensa attività esplorativa, raggiungendo varie località avanzate quali il Girone, il monte Rornolo, Quintole e Moriano; mentre una pattuglia del plotone Scaranari effettua, il giorno 13, un’ardita puntata in direzione di Maiano, Il 14 agosto, è ancora una pattuglia dello stesso plotone a essere protagonista di un episodio sanguinoso. Nelle prime ore del pomeriggio, mentre la parte bassa del rione delle Cure è raggiunta dalla Prima compagnia della Brigata «Lanciotto», la stessa zona viene percorsa da una camionetta guidata dall’autiere Ennio Tirafferi e occupata da alcuni paracadutisti comandati dal tenente Carlo Scarnari. Nella fase di rientro, percorrendo il viale Principessa Clotilde (attualmente, don Minzoni), all’altezza di via Masaccio una camionetta viene centrata da due bombe Mauser, lanciate da una finestra, che la capovolgono incendiandola. Il tenente Scaranari, benché colpito, si adopera per soccorrere gli altri feriti: l’autiere e i paracadutisti Silvio Di Leonardo e Luigi Cipolat Mis. Il sergente Asperges,
l’unico rimasto illeso, soccorre il tenente Manlio Cappellani, trascinandolo presso un albero del viale. Lo ha appena aiutato ad appoggiarsi al fusto dell’albero, che da una vicina finestra parte una lunga raffica di mitra la quale finisce l’ufficiale, e ferisce anche il sergente.
A villa «La Gherardesca», la notizia dell’agguato e della morte del valoroso tenente Cappellani, scatena una tale reazione emotiva che lo steso comandante Gay si pone alla testa dell’azione di rappresaglia. Per oltre due ore, i suoi uomini assieme ad alcuni patrioti che si trovano sul luogo setacciano la zona in cui è avvenuto l’agguato, espondendosi al tiro dei franchi-tiratori per indurli a rivelarsi. Un ufficiale dei patrioti viene ferito al braccio, ma in compenso due «cecchini» vengono uccisi e tre probabilmente feriti.
Nel giorno di Ferragosto, la I Divisione canadese si sposta nella zona pianeggiante a ovest di Firenze, ma i plotoni Iubini e Capanna continuano a operare a est della città il primo preso Le Sieci e il secondo a San Martino. La mattina dell’indomani, 16 agosto, mentre il plotone del tenente Scaranari (sostituito dal tenente Oscar Montefusco) resta a villa «La Gherardesca» alle dipendenze dello Squadrone, gli altri plotoni si spostano a sinistra per raggiungere i vari reparti della I Divisione: il plotone Iubini rientra a Firenze alle dipendenze del 155° Battaglione corazzato «Guardie del Re»; il plotone mortai, comandato dal tenente Gilberto Capo, entra in azione nella zona di Lastra a Signa con la III Brigata;
il plotone Ganzini invia due pattuglie in ricognizione: la prima a Ugnano, la seconda a Badia a Settimo dove mette in fuga una pattuglia nemica.
Il 17 agosto alle 11, dopo tre ore di azioni esplorative e di assaggio, il plotone mortai procede alla liberazione di Lastra a Signa. Il tenente Ganzini, facendosi precedere da elementi in abiti civili che scoprono in una fognatura la via di passaggio di pattuglie nemiche provenienti dall’Arno, conduce il proprio plotone ad attestarsi a Badia a Settimo. per altri due giorni, ora anche col concorso del plotone del tenente Capanna, lo Squadrone «F» sguinzaglia le sue pattuglie in azioni di esplorazione e in scontri d’assaggiosututta lafascia fluviale a valle di Firenze: Ugnano, Badia a Settimo, Granatieri, San Colombano e Lastra a Signa sono i capisaldi di una vasta preparazione del terreno per l’imminente offensiva a ovest della città. Ma il giorno 20 agosto, il comando della I Divisione, forse giudicando sufficiente questa azione, però provocando il disappunto dei comandanti dei battaglioni che li hanno avuti a propria disposizione, rimanda i vari plotoni alle dipendenze
dello Squadrone.
La stessa mattina del 20, il comandante del Battaglione corazzato «Guardie del Re», si fa accompagnare dal capitano Bonciani in una perlustrazione a bordo di un carro armato.
Procedendo verso San Domenico, sotto il fuoco continuo dei cannoni tedeschi che da oltre il crinale della collina fiesolana bombardano ormai da giorni la città, il maggiore inglese si convince che non è il caso di inviare pattuglie su quel terreno troppo battuto. Tuttavia, quello stesso pomeriggio, il comandate dello Battaglione «Loyals» della II Brigata richiede al capitano Gay un plotone da impiegare con compiti esplorativi proprio nella zona di Fiesole.
La mattina del giorno seguente, 21 agosto, il plotone del tenente Alfio Cavorso (il quale ha preso definitivamente il posto di Fenoglio) si spinge in prossimità di Fiesole, nonostante il fuoco dei mortai tedeschi che feriscono il paracadutista. Armando Liberatori; e rientra con preziose informazioni sulle postazioni nemiche in quella zona. L’indomani mattina, due paracadutisti dello stesso plotone guidano una pattuglia inglese fino al ponte a Mensola, anche in questa circostanza suscitando una violenta reazine dei mortai nemici; ma è questa l’ultima azione dello Squadrone «F» nella battaglia di Firenze: alle ore 9 del 23 agosto, il capitano Gay riceve l’ordine di acquartierarsi con tutto il suo reparto a villa Lappeggi, a disposizione del comando del XIII Corpo britannico. La ripresa offensiva sull’intero fronte italiano è ormai imminente; e d’altronde al liberazione di Firenze si può considerare conclusa, se si eccettua la zona di Careggi e soprattutto la collina di Fiesole da dove ogni notte l’artiglieria tedesca continua a terrorizzare la città .