Gruppo di combattimento FRIULI

Questo volume è stato compilato a cura del Comando “Friuli” in occasione del primo anniversario (20 settembre 1945) della costituzione del gruppo di combattimento.
Collaboratori:
Ten. Col. Guido Vedovato
Ten. Mario Attilio Levi (già nel Fronte Militare Clandestino Aeronautica – Roma)
S. Ten. Attilio Vassallo (per la documentazione fotografica)
Editore: Istituto Italiano di Arti Grafiche – Bergamo
(n.d.r. – Citare la fonte in caso di utilizzo del seguente materiale. Ogni abuso verrà perseguito a norma di legge)

87° Reggimento fanteria
88° Reggimento fanteria
35° Reggimento artiglieria
Battaglione misto del genio
Servizi

Volume Friuli

Edizione del 1945 del prof. Lorenzo Lodi (1920-2008)

Fronte del Senio
Il settore assegnato al Gruppo Friuli si trovava a sud della via Emilia sulla strada fra Faenza e Brisighella, nella valle del Lamone, asse delle comunicazioni per tutti i reparti che occupavano quella parte del fronte.
La notte dell’11 aprile 1945 nostre pattuglie portarono la notizia del ripiegamento del nemico e l’abbandono, da parte sua, della linea del Senio. Il Comando del Gruppo Friuli impartì l’ordine per impedire al nemico di sganciarsi.

Vengono liberate Guarè e Riolo dei Bagni. La linea del Senio non esisteva più. Iniziava una nuova fase della battaglia.
A nord e a sud del Senio, nelle case e negli abitati che costituivano i caposaldi della linea, si era dato lo spet­tacolo, invero singolare, di borghesi, uomini e donne, che convivevano con soldati, sottoposti alle stesse azioni di fuoco delle artiglierie. Civili, per lo più, alimentati con lo stesso rancio delle truppe (almeno nel settore a sud del Senio) e costretti a vivere quasi sempre nei ricoveri costruiti nelle cantine delle case.
Viene occupato Castel Bolognese, nella notte del 12 aprile, da parte dei fucilieri della Divisione Polacca. Dopo aver superato il Senio e il Santerno, il settore è ulteriormente suddiviso tra la div. polacca, l’87° e l’88° Rgt. fanteria del Friuli e i paracadutisti del Gruppo Folgore.
Bologna era la chiave e il perno della resistenza tedesca in Italia. Ora il capoluogo emiliano era vicino per i Gruppi  Legnano, Folgore, Friuli e  della Brigata Maiella (anche conosciuta  come  Gruppi Patrioti della Maiella).

Brigata Maiella
è il nome con cui è conosciuta la formazione partigiana abruzzese Gruppo Patrioti della Maiella: prendendo il nome dal massiccio montuoso della Majella, essa adottò il nome semplificato di Maiella, termine utilizzato in tutti i documenti ufficiali. Nella storia della Resistenza italiana essa presenta alcune caratteristiche peculiari: fu l’unica ad essere decorata di Medaglia d’Oro al Valore Militare alla bandiera, fu tra le pochissime formazioni partigiane aggregate all’esercito alleato dopo la liberazione dei territori d’origine, assieme alla 28ª Brigata Garibaldi “Mario Gordini” ed alla Divisione Modena-Armando, e – fra queste ultime ed anche rispetto alle unità del nuovo Esercito italiano – fu la formazione combattente con il più lungo e ampio ciclo operativo, continuando a lottare risalendo la penisola sino alla liberazione delle Marche, dell’Emilia-Romagna e del Veneto.

Bologna liberata.
Nella notte del 20 aprile e l’alba del 21 aprile 1945 il Gruppo Friuli entra a Bologna. Subito dopo segue il Gruppo Legnano.
Dopo aver risalito la costa Adriatica, liberando le città della Padania e essersi avvicinati a Trieste, i Gruppi vengono sciolti nel 1945. In proposito significa ricordare la “questione orientale”. Ovvero, la Jugoslavia e le truppe Neozelandesi poste a “cuscinetto” sul confine.

LA DIVISIONE “FRIULI” ATTACCA I TEDESCHI IN CORSICA (9 sett - 4 ott 1943)

Nel momento più difficile, più doloroso e più drammatico della storia militare italiana, dall’8 settembre 1943, la Divisione “Friuli” si trovava schierata nella parte settentrionale della Corsica da circa 10 mesi. Quando venne, insieme alla notizia dell’armistizio con le Nazioni Unite, l’ordine di tenersi pronti a reagire contro qualsiasi tentativo di imposizione tedesca alla nostra volontà e libertà di azione, i Comandi e gli uomini della “Friuli “ non esitarono a scegliere la via dell’ubbidienza agli ordini e del dovere. I tedeschi non tardarono a manifestare il loro stato di animo ostilissimo al nostro paese e alle nostre truppe, tentando, fin dalla notte sul 9 settembre, cioè poche ore dopo la notizia dell’armistizio, un colpo di mano in forze per impadronirsi del porto di Bastia. Questa azione nettamente ostile stimolò lo spirito combattivo nella coscienza dei nostri uomini e li convinse della necessità di combattere per la loro stessa libertà e difesa personale. L’occupazione tedesca del porto di Bastia fu effimera: dopo poche ore gli Italiani riconquistavano il porto e disarmavano le forze tedesche di occupazione. L’occupazione del porto di Bastia avrebbe rappresentato un notevole successo per il nemico, in quanto i tedeschi, a questo modo, avrebbero tagliata, alle nostre truppe le via dell’imbarco e dell’eventuale ritorno in Patria e, nello stesso tempo, avrebbero avuto piena libertà di iniziativa e di scelta per lasciare l’isola o per costringere le nostre truppe, alla resa, o al combattimento nelle condizioni più sfavorevoli per noi.
Malgrado questo successo iniziale delle forze italiane, la situazione era sempre oscura. La reazione italiana in Corsica e il complesso della situazione generale avevano consigliato i tedeschi ad abbandonare la Sardegna, trasferendo in Corsica i notevoli contingenti di truppe corazzate che avevano in quell’isola. L’obiettivo delle truppe corazzate tedesche della Sardegna era quello di tenere occupata la parte settentrionale dell’isola, di raggiungere il porto di Bastia, per conservare, il più lungamente possibile, il dominio sulla Corsica e per prepararsi una via di ritirata senza difficoltà nel momento jn cui non avessero più ritenuto conveniente il mantenere l’occupazione di questa isola.
Di fronte a questa attività tedesca, la Divisione “Friuli “riceveva dal Comandante delle Forze Armate della Corsica l’incarico di costituire tre raggruppamenti tattici nella zona assegnata alla Divisione stessa, con obbiettivi ben definiti. Il primo raggruppamento tattico aveva lo scopo di impedire, dal caposaldo di Casamozza, l’afflusso delle truppe corazzate nemiche al porto di Bastia; il secondo quello di manovrare dal Colle del Teghime su Bastia, e quindi, in direzione sud, verso l’aeroporto di Biguglia, rastrellando tutte le truppe e i depositi tedeschi ivi esistenti; il terzo quello di puntare, dalle colline a ovest dell’aeroporto di Biguglia, sull’aeroporto stesso, per impadronirsene, sopraffacendo l’eventuale reazione difensiva tedesca.
La Divisione, sino allora, era stata schierata prevalentemente a scopo di difesa dell’isola. Le caratteristiche di questo schieramento erano state quelle di adattare il potenziale della Divisione allo scopo di impedire sbarchi nella parte nord-occidentale dell’isola. Per assolvere questo compito le forze della Divisione avevano dovuto essere piuttosto sparpagliate e suddivise in piccoli gruppi. La trasformazione dello schieramento in atto in un dispositivo offensivo obbligava a spostamenti difficili e pericolosi con disponibilità inadeguate di mezzi di trasporto. Il nuovo schieramento era pressoché completo alla mattina del 12 settembre, all’infuori che nel raggruppamento tattico sud, cioè in quel raggruppamento che avrebbe dovuto occupare saldamente il caposaldo di Casamozza per impedire il transito delle truppe corazzate tedesche dirette a Bastia. Questo raggruppamento tattico venne a trovarsi in difficoltà poiché, durante le operazioni di schieramento, il nemico catturò il comandante di un reggimento, il comandante di un battaglione e un comandante di gruppo diartiglieria, mentre effettuavano una ricognizione. Tale doloroso incidente, mentre privava dei suoi capi una parte notevole delle truppe operanti, consentiva al nemico di venire in possesso dell’ordine di operazioni diramato dal Comando della Divisione e pertanto mettersi perfettamente al corrente sulle nostre intenzioni.
I movimenti e le operazioni degli altri due raggruppamenti tattici continuavano regolarmente. Il raggruppamento disposto al Colle del Teghime moveva su Bastia, la raggiungeva e proseguiva verso l’aeroporto di Biguglia, infliggendo al nemico perdite notevoli in uomini e materiale. I tedeschi concentravano i loro sforzi sul caposaldo di Casamozza che ritenevano in piena crisi e lo attaccavano con il fuoco dei loro semoventi e dei loro lanciafiamme. La località era circondata da vegetazione assai fitta che la lunga siccità aveva resa arida: i cespugli e le piante quindi prendevano assai facilmente fuoco sotto l’azione dei lanciafiamme, circondando così i difensori del caposaldo con un anello di fuoco dentro il quale avrebbero fatalmente dovuto soccombere senza poter ostacolare efficacemente i movimenti del nemico. L’incendio fece molte vittime fra le truppe del caposaldo e consentì al nemico di conquistare il controllo della rotabile fra Bonifacio e Bastia, procurandosi, con questo, libertà di movimenti nell’isola. A questo modo tutto il materiale che era stato sbarcato a Bonifacio poté liberame nte affluire verso la parte settentrionale dell’isola. Alla mattina del 13 settembre il nemico aveva concentrato nella piana di Bastia circa 200, fra carri armati, semoventi, autoblinde e autocarri, opponendo alle fanterie della “Friuli “ una imponente massa d’urto dotata dei più moderni mezzi d’assalto.
Con coraggio ed abnegazione le fanterie della “Friuli“, ponendo mine direttamente sotto i cingoli dei carri nemici, appoggiate dall’eroismo degli artiglieri che non cessarono il loro fuoco se non quando gran parte dei pezzi e spesso se stessi non rimasero schiacciati dall’urto dei carri pesanti, sostennero l’impari lotta che, senza alcuna possibilità di un esito favorevole, non poté continuare a lungo.
Le artiglierie e le fanterie ricevettero l’ordine di portarsi sulle colline ad est ed a nord-est di Bastia, dove l’azione dei carri armati non avrebbe potuto esplicarsi che lungo le rotabili. Su queste colline venne occupata una linea difensiva che doveva impedire al nemico di dilagare nella parte occidentale dell’isola e nella depressione centrale, ove erano dislocati il Comando Superiore delle Forze Armate italiane e tutti i nostri magazzini di viveri e di materiali.
Dal 14 al 24 settembre non si ebbe vera attività di combattimento; le posizioni difensive occupate vennero mantenute e le truppe, duramente provate, vennero riordinate, mentre si attendeva lo sbarco delle truppe francesi che dovevano riprendere l’azione offensiva per la liberazione dell’isola. Il Comando italiano promosse accordi con il Comando francese e venne stabilito che la Divisione” Friuli “avrebbe dovuto concorrere all’azione offensiva contro i tedeschi, a fianco delle truppe francesi, con tutto il 350 artiglieria, con un gruppo di artiglieria di Corpo d’Armata e con il III battaglione dell’880 fanteria, rinforzato da due compagnie mortai, da una compagnia lanciafiamme e da un plotone semoventi. Inoltre veniva utilizzata tutta l’organizzazione dei servizi logistici della Divisione, un battaglione del Genio, 200 automezzi e 120 muli. Compito delle truppe italo-francesi era quello di procedere alla riconquista di Bastia: compito specifico del III battaglione deIl’880 Fanteria, quello di attaccare frontalmente il Colle del Teghime, sovrastante il porto di Bastia, sul quale erano schierate le maggiori difese nemiche.
Alle ore 6 del giorno 29 settembre il III battaglione iniziava la sua azione offensiva conquistando, nella giornata successiva, località molto vicine all’obbiettivo e respingendo tutti i successivi contrattacchi nemici. Nella giornata del 2 ottobre, il battaglione, che era stato duramente provato, veniva scavalcato da truppe fresche marocchine, che raggiungevano il Colle del Teghime ed erano nuovamente affiancate, il giorno successivo, dal III battaglione dell’88° fanteria. Con questo successo alle ore 10 del 4 ottobre la liberazione di Bastia era un fatto compiuto ed era finita la occupazione tedesca in Corsica.
Il compito delle truppe italiane in Corsica era ormai finito, ed era anche finito il primo atto di guerra delle truppe della “Friuli” contro il nemico tedesco, grandemente superiore nei mezzi e nell’equipaggiamento.
Ad una lettera del Generale Comandante della “Friuli“, il Generale Louchet, Comandante la Fanteria della 14a Divisione marocchina da montagna, rispondeva con una leale e chiara attestazione che riconosceva il valore e la collaborazione avuta dalle truppe italiane. E’ interessante conservare e ricordare il testo della lettera, che viene qui sotto riportata:

COMMANDEMENT DES OPERATIONS EN CORSE
4e DIVISION MAROCAINE DE MONTAGNE
INFANTERIE DIVISIONNAIRE – ETAT-MAJOR n° 63 S. P. C.,
le 10 octobre 1943

Le Général LOUCHET — Commandant l’Infanterie de la 4 a D. M. M.
A Monsieur le Général DE LORENZIS
Commandant la Division d’ Infanterie “Frioul”

Mon Général,

J’ai été très touché par les sincères félicitations que vous bien voulu adresser à mes troupes et à moi-m~me à la suite des operations qui ont abouti à la reprise de Bastia et à la liberation totale de fa Corse.
J’ai spécialement apprécié le concours efficace que m’a été apporté sans réserve par les troupes de votre Division, non seulement dans l’organisation des communications et des transports, mais encore dans leur partecipation directe au combat.
Les unités que le Commandement Italien avait tenu à mettre directement sous mes ordres, par un geste auquel j’ai été particulièrement sensible se sont distinguées par leur courage et leur ardeur. Elles ont sostenu une lutte dure, dont témoignaient les pertes subies. L’artillerie divisionnaire et de Corps d’Armée aux ordres du Colonnel Brunelli, qui a été pour moi un précieux collaborateur, a montré toute sa valeur militaire et technique. Mon infanterie a rendu un hommage unanime à l’action précise et constante des batteries italiennes, qui ont appuyé au plus près nos attaques en dépit de la réaction ennerme.
Je suis donc heureux de vous exprimer toute ma reconnaissance pour votre aide entière et généreuse et je vous demande de transmettre également a vos troupes mes remerciements et mes compliments.
Veuillez agréer, mon Général, l’assurance de ma haute considération

Général LOUCHET

LA DIVISIONE “FRIULI” SI TRASFERISCE IN SARDEGNA (novembre 1943) E POI NELLA ZONA DI NAPOLI (luglio 1944)

E’ il periodo più triste e più demoralizzante della sua vita.

Dopo i fatti d’armi della Corsica la “Friuli“, provatissima nella lotta contro i tedeschi, veniva trasferita in Sardegna, e, malgrado le lotte dure ma vittoriose sostenute, doveva incominciare la vicenda dolorosa e triste di un esercito sconfitto, demoralizzato e affamato che veniva trattenuto sotto le armi per ulteriori compiti che sembravano tanto lontani e ipotetici; un povero esercito, composto in gran parte di uomini che avevano le loro famiglie al di là della linea del fuoco e che, in ogni caso, avrebbero avuto bisogno di restare nella grande famiglia militare perché trovandosi lontani dalle loro case e dalle loro famiglie non avevano altro rifugio che il Corpo a cui avevano appartenuto.
Verso la metà di novembre la “Friuli” si trasferiva, lasciando in Corsica, al servizio delle truppe francesi, tutte le armi di reparto e le artiglierie, quasi tutti gli automezzi, tutti i quadrupedi, i magazzini di viveri e di equipaggiamento, un intero battaglione di lavoratori e due compagnie di artieri.
Per 8 mesi, un lunghissimo inverno e una lunga primavera, la Divisione restò in Sardegna, mentre una parte notevole dei suoi uomini, e spesso molti dei migliori, furono mandati nella regione di Foggia per lavori agricoli ed altri, autisti e personale specializzato, vennero ceduti alle forze armate delle Nazioni Unite. Momentaneamente quelli che si allontanavano sembravano i più fortunati poiché erano destinati a compiti precisi ed era assicurata loro una migliore alimentazione e talvolta un decoroso equipaggiamento. In queste condizioni la Divisione si depauperò progressivamente di effettivi, venne a mancare di specialisti attentamente scelti e lungamente addestrati. In modo particolare, la “Friuli”, dovette assistere all’avvilimento angoscioso di tanti uomini che non riuscivano più ad avere fede, a capire quale fosse il motivo che li tratteneva sotto le armi, e non vedevano nella loro situazione altro che un incalzare di privazioni e di sacrifici, di dolori e di mortificazioni, in una costante ansia per la forzata separazione da tutti gli affetti.
Nel luglio 1944 la Divisione riceveva l’ordine di imbarcarsi per il continente e sbarcava a Napoli: era però ridotta ad avere soltanto poco più di 3000 uomini. Il momento, nella situazione generale italiana, era estremamente difficile. Anche in Italia gli Alleati stavano dimostrando al mondo che avrebbero vinto la guerra nella maniera più totale e clamorosa. Poco più di un mese era passato dal giorno in cui Roma era stata liberata, con una manovra che l’aveva restituita intatta al popolo italiano ed al mondo, e già le truppe della V e dell’VIII armata combattevano in Toscana. Poco più di un mese era passato dal giorno “D“, cioè dal giorno dello sbarco in Francia, e gran parte della Francia era già restituita al governo francese. In quell’estate gloriosa per le forze armate delle Nazioni Unite, il popolo italiano, il cui governo legittimo, confinato in una piccola città dell’Italia meridionale, aveva dichiarato guerra alla Germania da oltre 9 mesi, si stava domandando quale fosse l’avvenire che gli era riservato, se fosse condannato a dover pagare in solido, con il suo avvenire, gli errori politici del passato, o se gli verrebbe data, in qualsiasi modo, la possibilità di aprirsi ‘la via del riscatto’. Particolarmente sensibile a questa angosciosa attesa erano i reparti del semidistrutto esercito, tanto duramente provato dalla sorte in tutti i modi, che si domandavano perché mai non potevano essere chiamati a dare il loro contributo al riscatto dell’onore italiano, mentre la Marina era chiamata a combattere con tutti i suoi mezzi e la Aeronautica riceveva nuovi mezzi 2 per riprendere le vie del cielo con compiti limitati ma utili e precisi. La lotta sostenuta contro i tedeschi in Corsica aveva forse aggravato un certo complesso di inferiorità che mortificava i soldati italiani, i quali sentivano quanto fosse inutile l’eroismo, l’ardimento, lo spirito di sacrificio e la stessa generosa e intelligente azione di comando, quando si doveva combattere con una schiacciante inferiorità di mezzi e di equipaggiamento. Non erano certamente le condizioni in cui queste truppe si trovavano al principio dell’estate del 1944 che potevano migliorare questo stato morale.
I reparti erano pressoché disarmati, e lo sapevano. Il nemico aveva ancora mezzi abbondanti, e gli Alleati impressionavano il mondo con la loro dovizia e modernità di mezzi d’ogni natura. Il soldato italiano era pressoché lacero, talvolta scalzo, denutrito, insufficientemente pagato. Anche le truppe, che in qualche modo venivano utilizzate per compiti certamente utilissimi e importanti in ogni esercito e in ogni guerra, come i battaglioni e le Divisioni che collaboravano con gli Alleati con la verde uniforme dei conducenti e dei lavoratori, non potevano sentire quel riflesso di orgoglio e di fierezza che nei reparti dei servizi proviene dall’esempio e dalle azioni dei commilitoni dei reparti combattenti, e quindi si sentivano, in certo modo, diminuite per essere impiegate soltanto per i servizi stessi. Né, d’altra parte, era possibile, in quel tempo, una diversa destinazione dei reparti italiani, per la totale insufficienza dei mezzi di armamento e di equipaggiamento. Le condizioni erano così gravi da rendere impossibile l’impiego bellico delle nostre truppe, anche quando queste fossero state animate dalla migliore buona volontà di essere impiegate nei più duri combattimenti. Di questa buona volontà era stata una prova eloquente il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.). Il C.I.L. era stata una generosa espressione della volontà del soldato italiano di combattere e di partecipare alla liberazione del suo Paese con grande spirito di sacrificio. Le prove, e le perdite subite, dimostravano però che l’equipaggiamento e l’organizzazione di queste truppe non erano più adeguati per partecipare allo sforzo bellico delle truppe delle Nazioni Unite e per essere inquadrate in maggiori unità alleate. Il C.I.L. aveva, tuttavia, suscitata l’ammirazione dei Comandi delle Armate Alleate in Italia, e il valore dei suoi uomini indubbiamente fece fare un passo innanzi alla causa della partecipazione effettiva di truppe italiane alle operazioni di guerra per la liberazione dell’Italia. L’Italia però non poteva né armare, né vestire reparti in una maniera adeguata, poiché la maggior parte dei suoi magazzini, la totalità del suo armamento e dei suoi mezzi di trasporto erano stati saccheggiati dai tedeschi, almeno per quella parte che era restata disponibile dopo le dure prove della guerra in Spagna, in Grecia, in Africa e in Russia. Non bastava che le Nazioni Unite superassero le difficoltà politiche, per fare accettare, come commilitoni e compagni d’armi, ai soldati della V e dell’ VIII Armata quelle stesse truppe italiane che per anni erano state indicate come nemiche. Per far partecipare l’Italia alla guerra della sua liberazione, si dovevano anche superare altre difficoltà di carattere tecnico, cioè quella di equipaggiare e armare i nuovamente ricostituiti reparti italiani, addestrandoli all’uso del nuovo equipaggiamento e delle nuove armi.

LA DIVISIONE “FRIULI” SI TRASFORMA IN “GRUPPO DI COMBATTIMENTO FRIULI “ (19 settembre 1944

Proprio nel luglio 1944 venne decisa la costituzione dei nuovi reparti italiani destinati alla partecipazione alla guerra, e tale iniziativa venne pubblicata dopo il viaggio in Italia del primo Ministro inglese sig. Churchill. La Divisione “Friuli” era stata trasferita in Italia appunto perché destinata a diventare uno di questi nuovi reparti, cioè il 1° Gruppo Italiano di Combattimento. La vecchia “Friuli”, come la “Cremona” che pure aveva combattuto in Corsica contro i tedeschi, veniva scelta per questa nuova onorevolissima destinazione per motivi abbastanza evidenti: anzitutto perché era una delle unità che non avevano esitato a impegnarsi in combattimento contro i tedeschi all’8 settembre 1943, e in questo combattimento aveva dimostrato notevoli qualità combattive, riuscendo a salvare se stessa e ottenere importanti risultati nel campo tattico. In secondo luogo la “Friuli” non aveva subito, come tanti altri reparti italiani, il ciclone di settembre rimanendone totalmente distrutta, ma aveva potuto conservare l’essenziale del suo inquadramento e una parte, sia pure modesta, dei suoi effettivi. Era una delle poche grandi unità italiane suscettibili di riordinamento e di successivo nuovo impiego.
Il 1° Gruppo di Combattimento “Friuli” venne costituito ufficialmente il 19 settembre 1944, nella sua sede di Sangiorgio del Sannio, nella zona di Benevento. La scelta della località collinare sannita non era casuale: Benevento era il grande centro di addestramento tattico delle forze inglesi del Mediterraneo centrale, e il terreno circostante era risultato, anche per le esperienze delle scuole tattiche britanniche, singolarmente adatto agli scopi addestrativi.
Per alcuni giorni, anzi per quasi un mese, l’attività dei reparti costituenti il Gruppo di Combattimento fu assorbita pressoché totalmente dalle necessità relative alla trasformazione e al riordinamento.
Gli effettivi ebbero un notevole accrescimento, in qualità e quantità, per l’immissione nel Gruppo di due battaglioni di granatieri, eredi e continuatori della gloriosa Divisione Granatieri di Sardegna. I granatieri avevano già scritto pagine gloriose nella lotta anti-tedesca, combattendo a Roma (porta S. Paolo) e in Corsica, e poi assumendosi una parte preminente nel fronte romano di resistenza durante l’occupazione tedesca. In particolare i granatieri di Sardegna, cui appartenevano i due battaglioni assegnati al Gruppo “Friuli”, avevano combattuto con riconosciuto valore e con notevoli risultati in Corsica, a Zonza, a Quenza, a Levie, a Ospedale, a Portovecchio agli ordini dello stesso Generale ora divenuto vice-comandante del Gruppo, e con l’appoggio di uno dei gruppi del 35° Reggimento Artiglieria.
Varie settimane furono occupate dal costante arrivo di numerosi complementi e di nuovi ufficiali. Al Comando del Gruppo venivano affiancati un reparto britannico di collegamento (“50” B.L.U.) e un reparto di ufficiali istruttori (“54” Training Increment), distribuiti fra i singoli reggimenti. Venivano intanto assegnate le nuove armi, a cominciare dal fucile Enfield 303 sino al cannone anticarro da 6 libbre per la fanteria, i nuovi cannoni da 17 e da 25 libbre per l’artiglieria e il nuovo e dovizioso materiale di collegamento per i reparti teleradio. Intanto i soldati, i quali si trovavano molte volte persino impossibilitati a recarsi alle prime istruzioni con il fucile perché sprovvisti di scarpe, ricevevano un completo corredo perfettamente identico a quello del soldato britannico.
Gli addestramenti cominciarono molto presto e proseguirono col ritmo intenso in uso presso le scuole di addestramento inglesi, nelle quali vige il principio che l’addestramento deve rappresentare qualche cosa di più duro e di più pesante di quanto non sia il medio sforzo richiesto dall’impiego bellico, dal “caso vero”.
Il nuovo addestramento, soprattutto per quanto riguardava l’uso delle armi individuali, fu compiuto da ufficiali italiani che avevano seguito appositi corsi alla scuola tattica inglese di Benevento. La fase dell’addestramento di reparto fu invece sviluppata sotto la direzione di ufficiali superiori britannici addetti a questo compito. Il nuovo sistema di addestramento rappresentava effettivamente alcune difficoltà, o, quanto meno, alcune novità per il soldato italiano in quanto si trattava di abituarlo all’impiego bellico fatto con un quantitativo di armi di reparto e di mezzi di trasporto superiore a quello dei meglio dotati fra i precedenti reparti italiani. Le dottrine tattiche maturate in quest’ultima guerra giungevano ad adeguarsi alla modernità, alla varietà e alla potenza dei ritrovati che la tecnica mette e disposizione degli eserciti. I principi basilari della dottrina che ispirava il nuovo addestramento erano quelli:

• dello sfruttamento del terreno (principio non nuovo, e già ‘largamente applicato, nell’addestramento delle fanterie italiane);

• del coordinamento “fuoco e movimento” (è il principio di addestrare sino ai minimi particolari nella tattica campale in modo da non lasciare nulla all’improvvisazione ed al caso);

• di dare alle truppe la mentalità dei reparti motorizzati e dell’ impiego bellico di tutti i tipi di automezzi della fanteria, dalla « Jeep » al carro cingolato da trasporto.

I concetti addestrativi ottenevano essenzialmente lo scopo di consentire i movimenti sui campo di battaglia e le operazioni di offesa e di difesa con un minimo di dispendio di vite umane: l’azione di fuoco (armi automatiche e mortai), partendo da un punto diverso dalla base di attacco della fanteria, deve stordire il nemico e impedirgli di vedere l’avvicinarsi del reparto attaccante. Il coordinamento fra l’azione di fuoco e l’azione di movimento deve consentire, al momento dell’assalto, la cessazione dell’azione di fuoco a distanza, per permettere l’assalto sui nemico, già disturbato da una cortina fumogena, con l’impiego, da parte dell’attaccante, delle bombe a mano, dei moschetto semi -automatico e della baionetta.
Particolarmente lungo e complesso il lavoro di addestramento per la disciplina dell’impiego di automezzi, soprattutto di notte, e in colonna: si trattava qui di addestrare una fanteria, che era stata in passato poco motorizzata, a farsi la mentalità adatta all’impiego con la motorizzazione totale.
Un’altra forma di addestramento che venne particolarmente curata nella fase addestrativa fu quella del benessere della truppa: cura delle installazioni igienico-sanitarie elementari, cura del rancio e di un minimo di svago per le truppe, come la distribuzione di periodici e libri e l’impianto di piccoli giornali illustrati reggimentali e di sale di ritrovo per soldati presso ogni Reggimento. Il “miglioramento rancio “ rappresentò una vera fatica per il servizio vettovagliamento dei reggimenti, obbligato a percorrere settimanalmente distanze di mo lte centinaia di chilometri per provvedere alle truppe non solo viveri di conforto o vino, ma anche generi alimentari essenziali per il benessere, come uova, verdura e frutta fresca.
Gli addestramenti nell’ambito della squadra e del plotone non obbligavano, nella regione del Sannio, a grandi spostamenti: quando si cominciò l’addestramento sulla scala della compagnia e del battaglione, il lavoro cominciò, a diventare duro ed estenuante, in quanto i fanti e gli artiglieri, i genieri e la sanità erano obbligati, con tutti i loro servizi, a spostamenti diurni e notturni, compiuti con qualsiasi tempo, in condizioni spesso disagiatissime. Gli uomini dovevano dormire a cielo scoperto o non dormire affatto, in notti che cominciavano a diventare molto fredde, e in cui l’eventuale unico mezzo per scaldarsi era usare badile e gravina per scavare nel terreno gelato postazioni d’arma.
Il morale delle truppe subiva, con il procedere degli addestramenti, una trasformazione sorprendente. In settembre non si poteva parlare di soldati né di esercito. Era un assieme di “poveri diavoli” che soffrivano il freddo di notte e la nostalgia di giorno, che vivevano in un reparto con lo stesso senso di subire una sciagura ineluttabile sentita da chi, per strane vicende della vita, si trova gettato, senza colpa, in un campo di concentramento. Si ebbe abbastanza fede e abbastanza coraggio da richiedere a questi uomini lo sforzo di ricominciare da capo addestramenti e istruzioni. La viva materia umana sembrava talmente avvilita da non dover rispondere all’opera educativa di chi la voleva plasmare per trasformarla in soldati, nei più moderni ed efficienti soldati del mondo.
L’esperienza dimostrò che la fede non era temeraria e che, una volta di più, si poteva avere la prova che gli uomIni is truiti, equipaggiati e armati, quando raggiungono fiducia nelle loro armi, nei loro capi, nei loro sistemi tattici, diventano una forza organica attiva e soprattutto un potenziale di combattimento. Chi ha avuto la ventura di partecipare, fin dal settembre 1944, alla preparazione del Gruppo di Combattimento “Friuli”, ha visto, e non lo dimenticherà mai, come nasce un esercito, come la massa diventa reparto, come l’uomo stanco, sfiduciato, demoralizzato, può ritornare gradualmente, e rapidamente, ad essere un combattente.

IL “FRIULI” IN TOSCANA E IN ROMAGNA (dicembre 1944 - gennaio 1945)

Alla fine di novembre, il Gruppo di Combattimento era concentrato nella zona del Chianti, fra la provincia di Arezzo e la provincia di Siena, fra Cavriglia, Radda, in Chianti Castellina in Chianti e Castelnuovo della Berardenga. In questa zona vennero ripresi gli addestramenti diurni e notturni per battaglione, vennero sviluppate le manovre per la disciplina e il controllo del fuoco, e infine vennero iniziate le manovre a fuoco sulla scala del reggimento e del Gruppo di Combattimento, manovre di notevole impegno, che interessavano tutti i mezzi e tutti i servizi dell’uniti. Giunta a questo punto, la preparazione del Gruppo di Combattimento si poteva ormai considerare ultimata. Compiuta attraverso tutti i disagi del periodo invernale, in quei giorni e quelli notti del gelido inverno toscano, su per i colli del Chianti coperti di neve e battuti da un vento gelido e pungente come la tormenta. I soldati sentivano che si avvicinava ormai l’ora dell’impiego. Le fasi dell’addestramento per tutti i reparti e per tutti i servizi erano state compiute: speciali istruzioni erano state fatte per l’artiglieria e per il servizio dei collegamenti, la stessa sanità aveva partecipato sempre alle esercitazioni, addestrandosi all’uso dei mezzi e dei formulari per inserirsi nell’organizzazione ospedaliera britannica. Il 24 gennaio 1945 venne il desiderato ed atteso ordine di movimento verso il fronte. Dalla zona del Chianti il Gruppo di Combattimento attraversò l’Appennino nevoso nel cuore dell’inverno, discese sulle rive dell’Adria tico, si indirizzò lungo l’asse delle comunicazioni dell’VIII Armata verso Rimini, e verso Bertinoro, verso Forlì, cioè nelle immediate retrovie deI fronte. Chi si trovava in quello scorcio di gennaio in una delle colonne del “Friuli “, alla partenza dell’ultima tappa, da Fano. ricorderà sempre lo spettacolo emozionante di quella lunga teoria di autocarri carichi di militari e di mezzi, che si avviava verso la zona di retrovia immediata, verso la zona dove tuonava il cannone, ove avrebbero dovuto giungere entro poche ore. Erano irriconoscibili quegli uomini, eppure erano proprio quegli stessi “poveri diavoli “che avevano dato tanto triste spettacolo di sè negli accampamenti sanniti. Quei soldati, ormai veramente degni di questo nome, si stavano avviando al combattimento, contro un nemico che sapevano forte e inesorabile, e difficilmente si sarebbe potuto presentare agli sguardi pieni di ammirazione dei borghesi italiani e dei militari stranieri una truppa il cui morale fosse tanto alto e tanto brillante. In quei giorni il Gruppo “Cremona“ era già entrato in linea. L’eco del suo primo successo, esaltato dalla stampa italiana e alleata, aveva ancora più galvanizzati i soldati del Gruppo “Friuli “. Concentratosi nella retrovia del fronte romagnolo, il Gruppo di combattimento visse per pochi giorni la vita di movimento e di congestione del traffico della immediata retrovia di un’Armata motorizzata. Il 4 febbraio il generale Keithley, Comandante il V Corpo d’Armata inglese, passava in rivista, sulla piazza principale di Forlì, tutto il Gruppo di Combattimento. L’imponente parata d’armi avveniva una domenica, in una fioritura di bandiere italiane, inglesi e americane, di fronte a un brillante Stato Maggiore italiano ed inglese e alla presenza di tutta la popolazione di Forlì, che ripeteva e rinnovava le emozionanti ore della parata Romana. i battaglioni, perfettamente inquadrati, sfilarono in modo impeccabile di fronte al generale Keithley, il quale rivolse parole augurali di saluto alla truppa esprimendo la sua certezza nei successi che attendevano le armi italiane e nella vittoria totale e vicina sul nemico tedesco. Il generale Keithley il quale rivolse parole augurali di saluto alla truppa esprimendo la sua certezza nei successi che attendevano le armi italiane e nella vittoria totale e vicina sul nemico tedesco.

IL “FRIULI“, FINALMENTE IN PRIMA LINEA, FRONTEGGIA IL NEMICO

Pochi giorni dopo, l’8 febbraio, si iniziavano le operazioni per la sostituzione in linea della Divisione Polacca “Kressowa da parte del Gruppo Italiano di Combattimento “Friuli “. Assunsero la responsabilità del settore:

• Sulla sinistra: un battaglione dell’87° Fanteria che sostituì la brigata partigiana “Maiella” operante, da tempo, alla dipendenza della Divisione Polacca;

• al centro e sulla destra: due battaglioni dell‘87° Fanteria che sostituirono il Reggimento Polacco ‘ Wilno “.

Il settore assegnato al Gruppo “Friuli” era il settore di Brisighella, a  sud della via Emilia, a non grande distanza da Faenza. La strada fra Faenza e Brisighella, nella valle del Lamone, era l’asse delle comunicazioni per tutti i reparti che occupavano il fronte da Faenza fino a Brisighella compresa, e, non essendo una strada molto larga, richiedeva, fin da questa prima fase, una rigida applicazione dell’addestramento sulla disciplina del traffico. La strada, poi, non era completamente defilata dal fuoco delle artiglierie nemiche, benché ampia mente protetta dalle nostre artiglierie. Il settore di Brisighella aveva il suo centro nella tranquilla cittadina da cui prendeva nome: tranquilla anche dal punto di vista bellico poiché quasi totalmente defilata dal tiro delle artiglierie nemiche.
Strategicamente, il settore affidato al Gruppo di Combattimento “Friuli” era di importanza preminente, in quanto si trovava alla sommità di un profondo saliente nemico. Uno sfondamento che si fosse verificato sulla linea tenuta dal Gruppo, sulle rive del Senio, avrebbe permesso l’aggiramento delle unità laterali, che si sarebbero improvvisamente trovate con il loro fianco arretrato scoperto, e avrebbe consentito al nemico di raggiungere la valle del Lamone, sede di comandi e zona di schieramento della massa delle artiglierie. Al momento della sostituzione in linea da parte del “Friuli“ il terreno, benché si trattasse di una zona nient’altro che collinosa, aveva ancora tutta l’apparenza inospitale ma imponente della montagna invernale: nella parte collinare, alture che sembravano assai elevate, con appicchi coperti completamente di neve. I reparti polacchi, che avevano sino allora operato in quella zona, usavano pattugliare con equipaggiamento mimetico bianco, spesso servendosi degli sci. Nella zona dell’ansa del Senio, verso la destra dello schieramento e verso la confluenza fra il Sintria e il Senio, una zona pianeggiante, coperta di neve e di ghiaccio, piuttosto pericolosa per la minaccia di infiltrazioni e per la possibilità di impiego, da parte del nemico, di carri armati.

In pochi giorni, dopo il passaggio della responsabilità della linea al Gruppo “Friuli“, il susseguirsi di giornate serene e soleggiate trasformò completamente il paesaggio: la primavera incipiente fece sciogliere le nevi e trasformò tutto il settore del fronte in una immensa distesa di fango. Uno speciale fenomeno di erosione che si verifica nelle colline di quella .zona, fa sì che il terreno argilloso, sotto l’azione della fusione delle nevi, e delle piogge, tende a disgregarsi, formando i cosiddetti ”calanchi“, cioè profondi disfacimenti, sui lati delle colline, con alluvione verso la pianura di masse di fango argilloso che si aggiungevano al fango che si era già formato nella parte pianeggiante. Queste erano le caratteristiche del terreno che il Gruppo “Friuli “ aveva avuto in consegna e della linea di fronte di cui era responsabile.
Il nemico, conscio della grande importanza strategica del settore, ritenne necessario di affidare la sua linea a reparti delle sue truppe scelte: infatti, in tutto il periodo in cui il Gruppo di Combattimento “Friuli” fu in linea, ebbe come ‘diretti avversari, alternativamente, i granatieri della 90a Divisione “Panzergrenadieren” o i paracadutisti della la o della 4a Divisione, la quale ultima era da tutti stimata la migliore unità tedesca sul fronte italiano. Anche in questo settore, come in tutti gli altri in questo periodo invernale, i tedeschi avevano largamente usata, e ogni giorno moltiplicavano, la terribile insidia delle mine, mine di ogni tipo, d’ogni misura, spesso introvabili con i consueti accorgimenti, che costituivano un ostacolo gravissimo a tutti i movimenti nelle zone avanzate e talvolta anche nelle retrovie. Gli uomini del “Friuli” avevano avuto uno speciale addestramento, nella zona di Benevento e in Toscana, per difendersi dalle mine: e grazie a questo coscienzioso e accurato addestramento, e alla costituzione di arditi e competenti plotoni di pionieri cercamine, seppure si ebbero per mine perdite sensibili e dolorose, in complesso tali perdite furono inferiori a quelle subite da altri reparti in analoghe circostanze.
Due sole rotabili, rese quasi inservibili dal fango e dalle frane, univano la valle del Lamone alla valle del Sintria, che era percorsa da una strada sufficientemente praticabile. Tra la valle del Sintria e la valle del Senio, una sola rotabile, sulla destra, continuamente battuta dal fuoco delle artiglierie e dei mortai nemici. Sulla sinistra, nessuna rotabile, perché il terreno è rotto da calanchi fangosi, franoso, ed è attraversato da borri profondi. Dorsali montuose che si distaccano dalla catena di Monte Mauro e Monte della Volpe corrono paralle lamente alla linea del fronte, rendendo oltremodo difficili i movimenti, tanto più che il nemico ha disseminato le sue insidiose mine in tutti i passaggi più agevoli. In queste condizioni, mentre sulla destra del dispositivo i rifornimenti potevano essere compiuti per mezzo di Jeeps, che arditamente giungevano fino a poca distanza dalle linee nemiche, sulla sinistra non vi era altra possibilità di rifornimenti che l’uso dei muli, rendendo quindi più disagiata la alimentazione e il munizionamento.

Appena avvenuta la sostituzione in linea, il Gruppo “Friuli ritenne, per il momento, di non modificare lo schieramento tenuto sino allora dalla divisione polacca “Kressowa”. Detto schieramento, forse anche per ragioni contingenti correlative alle condizioni del suolo invernale, era alquanto arretrato rispetto alle rive del torrente Senio, e quindi lasciava una certa striscia di terra di “nessuno” a sud del fiume, tanto che parecchi edifici a sud del corso d’acqua potevano essere temporaneamente, e spesso nelle ore notturne, usati dal nemico come basi per le sue pattuglie. A questo modo il nemico era molto facilitato nel suo compito di effettuare frequenti azioni di disturbo sino ai caposaldi della principale linea di resistenza e le pattuglie che da questi caposaldi, per comando del Gruppo, perlustravano la riva meridionale del fiume e la “terra di nessuno si scontravano molto sovente con elementi nemici che credevano di poter spadroneggiare in questa parte della linea del fronte.

La prima fase della attività operativa del Gruppo nel settore di Brisighella fu contrassegnata da una intensa attività esplorativa delle pattuglie nei tre sottosettori tenuti ciascuno da un intero battaglione. In tutti i sottosettori si trovavano località particolarmente insidiose, nelle quali il nemico si era sistemato in modo da rendere assai difficile la vita a chi doveva rispondere della zona del fronte assegnatagli. Particolarmente pericolose erano le località situate a sud del fiume, come lo stabilimento Idroterapico di Riolo di Bagni e la regione a detto stabilimento circostante, nella quale il nemico si era quasi permanentemente sistemato per azioni di pattuglia. Pericolosà era pure l’ansa del fiume antistante a Cuffiano, con i guadi di Casa del Fiume e con Casa Passerina, dalla quale, sotto il ciglione della pianura ove erano le nostre posizioni più avanzate, era molto agevole infiltrarsi nella valle del Sintria e minacciare punti vitali del nostro dispositivo. Anche dallo stabilimento Idroterapico erano assai facili le infiltrazioni e frequentemente il nemico si spingeva fino a Casa Barbanfusa, ai piedi della elevazione collinare ove si trovavano i principali nostri capisaldi. Altrettanto si può dire dell’estremo settore sinistro della zona divisionale, nel quale la difficoltà del terreno costituiva una maggiore forza per il nostro dispositivo, ma però anche in questo settore era altrettanto frequente, come negli altri, l’insidia delle mine.
Il Reggimento Polacco “Wilno” nel periodo in cui la Divisione Polacca “Kressowa” aveva avuto la responsabilità del settore, era riuscito. con un’azione combinata di bombardamento aereo e di fanteria, a cacciare i tedeschi da Casa Peschiera. In tale grande fabbricato rurale, situati ai piedi del parco di Villa Zacchia, sotto il ciglione alto 30 metri, i tedeschi avevano la loro principale base di pattuglie. Particolarmente pericolosa la permanente occupazione nemica di tale fabbricato, poiché paralizzava totalmente l’efficacia del caposaldo di Villa Zacchia e minacciava, per un vallone che partiva appunto da Casa Peschiera con direzione sud, le località di Limisano e q. 100, essenziali per tutto il movimento logistico e tattico nelle nostre posizioni. L’azione polacca aveva obbligato i tedeschi a sgombrare Casa Peschiera, ma la località non era diventata parte integrante del nostro dispositivo, che rimaneva arretrato tutt’attorno alla villa, cosicché la pianura circostante alla casa Peschiera, sotto il ciglione, era ancora “terra di nessuno” e quindi disponibile come eventuale base di pattuglie nemiche.
Nella prima fase dell’azione si trattava, in sostanza, di studiare dappresso le abitudini e le intenzioni del nemico, mantenendo una stretta vigilanza difensiva attorno ai caposaldi e attuando regolarmente, ogni sera, programmi di pattuglie di ricognizione, di agguato e di ascolto in tutta la zona già frequentata dalle pattuglie polacche, cioè, per lo più, sotto il ciglione, vicino alla riva meridionale del fiume.
Le pattuglie uscivano dalle posizioni appena calava l’oscurità, quasi sempre comandate da un ufficiale subalterno. Ogni uomo era armato di moschetto s emi-automatico e di alcune bombe a mano.
L’equipaggiamento comprendeva la giubba di pelle e gli stivali di gomma; senza i quali sarebbe stato impossibile camminare nei sentieri trasformati in veri torrenti di fango. Appena faceva buio, batterie di riflettori, collocate nella zona di Brisighella, solcavano il cielo di strisce bianco-azzurre, che riuscivano a dare, anche nelle notti nuvolose, alla atmosfera una luce diffusa sufficiente per potersi orientare senza essere visti dal nemico.
La calma campestre di questo angolo di Romagna era, completamente scomparsa. Continuamente, le opposte artiglierie e i mortai squarciavano il silenzio della notte con le esplosioni dei tiri di disturbo. Di tanto in tanto qualche razzo illuminante, amico o nemico, obbligava le pattuglie che ‘si trovavano all’aperto a buttarsi a terra, spesso nel fango, per non profilarsi nell’improvvisa luce che illuminava a giorno il settore. Vicino, lontano, i lampi delle artiglierie medie e pesanti invece divampano per qualche attimo il cielo. Intanto, fenomeno inconsueto nelle campagne, nel cuor della notte si sentivano le grida degli animali domestici: si trattava di tutto il bestiame, piccolo e grande, abbandonato da contadini che avevano lasciate le loro case, e che viveva nella campagna perdendo le abitudini regolari del sonno degli animali che vivono con gli uomini. Talvolta, qualche motore rombava dietro i nostri avamposti o un carretto cigolava sulla rotabile che correva parallela agli avamposti nemici. Erano i rifornimenti che giungevano col favore delle tenebre.
In queste notti si sentivano anche improvvise esplosioni non precedute da bagliori e da colpi in partenza. Nelle postazioni gli uomini restavano pensosi: non occorse molto tempo perché tutti capissero di che tipo di esplosione si trattava, cioè del brillamento di una mina, e talvolta tali esplosioni furono seguite dal ritorno di una pattuglia che portava indietro uno dei suoi componenti morto, morente o mutilato. Tal’altra volta i tiri delle opposte artiglierie o mitragliatrici, che punteggiavano tutta la notte, diventavano più rabbiosi e rapidi, ed erano accompagnati dal caratteristico rumore delle armi automatiche individuali: allora era facile intendere che una nostra pattuglia si era scontrata con una pattuglia nemica. In quelle circostanze ‘da un caposaldo all’altro, correvano brevi telefonate, con frasi strane fatte di parole convenzionali, che annunciavano di reparto in reparto la necessità di raddoppiare la vigilanza o di tenersi pronti per soccorrere eventualmente la nostra pattuglia impegnata.
Mentre le pattuglie svolgevano il loro compito oscuro, ingrato e pericoloso, nei caposaldi e nei comandi si attendeva e si viveva attorno all’apparato telefonico e ufficiali di fanteria e di artiglieria, stando in ascolto, erano pronti a dare gli ordini da cui dovevano venire le azioni di fuoco e le reazioni dell’artiglieria e dei mortai.
I gruppi da 25 libbre dell’artiglieria erano schierati sin dal 5 febbraio nella zona di Fognano-Castellina (Brisighella) lungo le rive del torrente Lamone; una batteria del V° gruppo controcarro sostituiva una batteria analoga polacca nella zona di Casa Cugno – q. 100. Gli obbiettivi per le azioni di fuoco erano le case a nord del Senio, che costituivano tutte, più o meno, obbiettivi, poiché erano probabili posizioni del nemico. Dalla linea si chiedeva fuoco sulle postazioni dei mortai e delle mitragliatrici nemiche: i pezzi dimostrarono fin dalla prima notte la loro perfetta efficienza e gli osservatori di artiglieria erano continuamente in vigilanza per spiare qualche segno. di vita nella zona oltre il Senio per impedire al nemico di effettuare qualsiasi movimento, per rendergli dura la vita nelle sue, stesse postazioni.
Fin dai primi giorni della presenza in linea del” Friuli “il nemico avanzò, verso talune nostre posizioni, pattuglie abbastanza numerose da poter essere considerate veri e propri reparti di combattimento, e si ebbe il 12 febbraio un attacco locale nella zona di Casa Barbanfusa, condotto da un’intera compagnia tedesca con tutte le sue armi automatiche, che fu completamente infranto dalla pronta reazione delle armi individuali e di reparto. Pochi giorni dopo, il 17 febbraio, si ebbe il primo rilevante scontro di pattuglie, nelle vicinanze dello Stabilimento Idroterapico, scontro nel quale l’ufficiale che comandava la pattuglia italiana restò ferito ma continuò a combattere sino a quandò non ebbe messo in salvo tutti i suoi uomini. In complesso la prima fase dell’operato del “Friuli” in linea fu contrassegnata da una intensa attività per prendere conoscenza del nemico e dei suoi intendimenti, e per mostrargli che aveva di fronte truppe assolutamente decise a combattere, dotate di mordente e di entusiasmo per la causa per cui combattevano. La prima fase permise anche ai comandi e alle truppe di acquistare una perfetta conoscenza del terreno e delle sue insidie: notevole, fra l’altro, l’attività dei plotoni pionieri, che dimostrarono l’alto grado di addestramento raggiunto, bonificando tratti di linea e tratti antistanti alle linee e percorsi obbligati, asportandone talvolta parecchie centinaia di mine.
Non appena fu superato il periodo della prima presa di contatto, delle ricognizioni e della stretta difensiva, periodo nel quale l’iniziativa non fu nelle nostre mani, pur senza essere nelle mani del nemico, il Comandante del Gruppo di Combattimento decise di iniziare una serie di azioni di dettaglio, sempre precedute da una metodica e accurata opera di ricognizione fatta con pattuglie e di bonifica del terreno fatta dai pionieri, allo scopo di conquistare il completo dominio del terreno a sud del Senio.
Erano stati sufficienti pochi giorni di orientamento perchè il Comandante del Gruppo “Friuli” ritenesse di poter prendere l’iniziativa e di portare i suoi uomini a iniziare una serie di operazioni di netto carattere offensivo, malgrado l’eccellente qualità delle truppe nemiche che aveva di fronte. La prima operazione di questo nuovo ciclo, tendente allo spostamento in avanti della linea di resistenza con l’occupazione di località tatticamente importanti, fu disposta con l’occupazione di un fabbricato rurale isolato situato a q. 92, a nord-ovest di Limisano, a poca distanza dal caposaldo di Villa Zacchia, sul ciglione di un piccolo borro che scendeva verso il Senio di fronte alla Casa ‘Ripa e a non grande distanza dalla località ove era il ponte che serviva al vicinissimo abitato di Riolo dei Bagni, principale base avanzata deI nemico. La casa di q. 92 era situata su un terreno sovrastante una ventina di metri di altezza la casa di q. 69, sulla riva meridionale del fiume, casa in cui il nemico aveva sistemata una delle sue principali basi di pattuglie e che teneva occupata semipermanente di notte. La casa di q. 92 era collegata da un breve sentiero alla casa di q. 69 e le pattuglie tedesche vi si appoggiavano con grande vantaggio per tentare azioni di disturbo soprattutto contro il nostro caposaldo principale di Villa Zacchia.
Il Comando del Gruppo “Friuli“, il 23 febbraio, ordinò all’88^ fanteria di procedere alla occupazione permanente del fabbricato di q. 92 e del vicino fabbricato di Casa Derchia. Le due occupazioni venivano effettuate nella notte sul 24 febbraio, e da quel momento i due fabbricati vennero tenuti saldamente.
Il Gruppo “Friuli“, a questo modo, chiudeva al nemico due como de basi per infiltrazioni e ostacolava notevolmente la sua attività nel centro del nostro schieramento. Da quel momento il presidio nel fabbricato di q. 92, la cui perdita disturbava particolarmente i tedeschi fu sottoposto a quotidiane azioni diurne di bombardamento di mortai e di artiglieria. Di notte, consistenti pattuglie nemiche, risalendo da q. 69, attaccavano spesso le posizioni della quota, circondata da ogni parte da nostre efficaci postazioni d’arma. Il fabbricato di q. 92 diveniva così “il centro nevralgico” di tutto lo schieramento del “Friuli “. Ogni tentativo di pattuglie nostre di spingersi su q. 69 incontrava una violenta reazione del nemico: il fabbricato di q. 69 fu sottoposto anche a bombardamento con il “PIAT “, il lanciabombe anticarro delle fanterie delle Nazioni Unite, e vennero provocate grandi esplosioni attestanti la presenza di riserve nemiche di munizioni.
Ai primi giorni del mese di marzo il reparto di fanteria tedesca, che sino allora aveva tenuto la linea, venne sostituito dalla 4a divisione paracadutisti, uno dei reparti tedeschi più addestrati per gli attacchi, per la guerra di posizione e per le pattuglie di  combattimento, e costituito da veterani esperti, aggressivi, perfettamente addestrati e specializzati in colpi di mano. Per il comando nemico, fin dai primi giorni dopo la sostituzione in linea, apparve necessario di iniziare una più intensa attività per togliere al Gruppo “ Friuli “ l’iniziativa che si era conquistata.
Nella notte sul 6 marzo le due posizioni avanzate di q. 92 e di Rio Manzolo, vennero contemporaneamente attaccate senza preventiva azione di artiglieria e di mortai, mentre per contro, la posizione-chiave di Villa Zacchia, situata in mezzo ai due caposaldi attaccati, veniva fatta segno ad una intensa azione di mortai. Il nemico aveva accuratamente preparato e condotto con forze notevoli l’attacco: era evidente che il piano e gli intendimenti della sua operazione consistevano in uno sforzo per impadronirsi dei due caposaldi laterali per poi gettarsi, o subito o in un secondo tempo, con un azione convergente da due parti, su Villa Zacchia. L’attacco su q. 92 non era però molto consistente: pertanto fu respinto immediatamente dalla decisa reazione delle armi automatiche della posizione. Il presidio di Rio Manzolo veniva invece attaccato da tre grosse pattuglie, guidate da un ufficiale e precedute da pionieri d’assalto muniti di cariche esplosive. Con una fermezza e una calma da veterani, i nostri uomini, che si trovavano nelle postazioni d’arma, attesero nell’oscurità che il nemico giungesse a distanza ravvicinata: vedevano le sagome degli attaccanti e avevano la fermezza di attenderli senza reagire. Il nemico, probabilmente, si attendeva una reazione a maggior distanza, tanto che ebbe un momento di sosta che fu nettamente a suo svantaggio. Benché disorientato dall’assenza di ogni reazione, dopo la sosta si gettò violentemente all’attacco, ma intanto tutto il dispositivo di Rio Manzolo era stato già messo in allarme e, a distanza estremamente ravvicinata, le, armi della difesa aprirono improvvisamente il fuoco, stroncando di colpo l’azione e mettendo in fuga gli assalitori, dei quali veniva catturato il comandante. Da questo momento, assai tempestivamente, intervenivano azioni di artiglieria e di mortai per rendere anche più difficile la situazione del nemico che intendeva ritirarsi: il nemico perdeva circa 40 uomini fra morti e feriti, come risultò da una relazione trovata in un secondo tempo, e lasciava sul terreno un notevole bottino di armi.
Il Comando del Gruppo intensificava, si può dire ogni giorno, l’attività delle pattuglie: gruppi di uomini si avvicinavano sempre più al dispositivo nemico, padroneggiavano ormai la riva meridionale del fiume, operavano coraggiosamente per riconoscere e bonificare campi minati vicinissimi alle posizioni nemiche, entravano nelle acque del fiume, davanti alle postazioni d’arma tedesche, per misurare l’altezza dell’acqua e le possibilità di guado e di gittamento di passerelle, effettuavano qualche puntata nella opposta sponda, come avvenne a Cuffiano e a Rivola, cioè, in sostanza, traevano tutti i vantaggi che, a un reparto operante, derivano dal fatto di avere l’iniziativa e di poter liberamente, o quasi, preparare operazioni di maggiore mole. Fu proprio in questo momento che il nemico decise una operazione di maggiore rilievo, la più importante sino allora tentata, su quel fronte, contro le truppe del Gruppo “Friùli“, e precisamente contro la posizione di q. 92. Nella notte sul 14 marzo, pochi minuti prima della mezzanotte, era stato disposto il cambio del presidio di q. 92. Da più di due giorni il nemico aveva intensifìcato le azioni di fuoco, con mortai e con le artiglierie, contro la casa di q. 92 e il complesso di fabbricati di Villa Zacchia. Il 13 marzo, nel pomeriggio e nelle ore notturne, il concentramento di fuoco aveva aumentato di precisione e di intensità. Mentre si stavano per iniziare le operazioni di sostituzione nelle postazioni, i mortai nemici aprivano il fuoco con maggiore precisione e con notevole efficacia. Parecchi dei componenti del presidio e del reparto che doveva subentrare vennero colpiti, e, il nemico, approfittando della  situazione creata dal suo fuoco, riuscì a impadro nirsi di alcune postazioni, dalle quali, sparando sulla casa e sulle altre postazioni rimaste nelle nostre mani, iniziò l’assedio della quota. Il nemico teneva in riserva, probabilmente per sviluppare l’azione su altri obiettivi quando si fosse impadronito della quota, una forza notevole: un nostro contrattacco, tentato immediatamente per sbloccare il presidio assediato nella casa, dopo essere giunto vicinissimo al nemico, obbligò i tedeschi a fare entrare immediatamente in azione le loro riserve, che così non avrebbero più potuto essere utilizzate per ulteriori eventuali sviluppi. Però l’entrata in azione di queste nuove forze frustrò i successi iniziali del reparto contraccante. Il presidio ‘assediato resistètte da solo per altre cinque ore, mantenendosi continuamente collegato per radio; i tedeschi, per impossessarsi della quota, quando ormài si avvicinava l’alba, dovettero minarla, in modo da seppellirne gli ultimi eroici e tenaci difensori sotto le macerie. Pochi uomini, con il comandante del presidio, tramortiti, e in parte feriti, caddero, insieme al fabbricato, nelle mani del nemico. Il Comandante del Gruppo di Combattimento, il successivo giorno 15 marzo, ordinava l’immediata riconquista della quota. Fin dalle ore della notte si svolgeva la preparazione dell’artiglieria, cui partecipavano i gruppi da 25 libbre del 350 Reggimento artiglieria, due gruppi di cannoni semoventi inglesi e due batterie del 510 Reggimento di artigliéria media campale inglese, assegnati al Comando del Gruppo. Un prigioniero tedesco, il giorno successivo, doveva definire “infernale e deprimente” il fuoco sviluppato in quelle ore dalle artiglierie del Gruppo. Un altro prigioniero doveva poi raccontare di essere rimasto talmente intontito dalla preparazione di fuoco, da non essersi accorto che tre soldati italiani si erano portati a pochi metri dalla buca dove egli si era riparato, in modo da non avere altra possibilità che quella di arrendersi. Sul far dell’alba, dopo la preparazione dell’artiglieria, durata complessivamente 9 minuti, venne sferrato l’attacco da tre direzioni; cioè da Villa Zacchia, dalla strada che unisce Limisano a Casa Derchia e dalla Casa Derchia stessa. La quota fu raggiunta un ora dopo l’attacco, ma il combattimento fra le rovine si prolungò ancora a lungo, anche per la morte dell’ufficiale che comandava il primo plotone attaccante, che giunse nel fabbricato, e solo verso le 2, con un azione di sorpresa, la pattuglia proveniente da Casa Derchia riusciva a penetrare nel fabbricato e a sistemarvisi.
Dopo le tredici, la quota era completamente in mani nostre. I pochi difensori ancora validi non tardarono ad arrendersi, e venne immediatamente disposto l’invio di truppe fresche per mantenere saldamente l’occupazione della posizione, nonostante successive forti reazioni dei mortai nemici.

Il Comandante dell’ VIII Armata, gen. Mc. Creery, inviava al Generale Comandante del Gruppo, per i fatti d’arme di q. 92 questo messaggio di felicitazioni:

COMANDO DELL’ VIII ARMATA

Al Gruppo Friuli 18 Marzo 1945

Personale per il Generale Scattini
Da parte del Comandante l’VIlI Armata

A.C. 79. Si prega trasmettere al Colonnello Ciancabilla dell’88° Reggimento le mie congratulazioni per l’alto spirito combattivo mostrato dai militari di tutti i gradi nei combattimenti intorno a q. 92 a sud di Riolo dei Bàgni. Il contrattacco, coronato da successo, compiuto dal 110 e dal 11° battaglione e la ‘cattura dei prigionieri sono state azioni eccellenti durante tutti i combattimenti, il fuoco dell’artiglieria, spostato sulla zona del Senio retrostante la q. 92, aveva impedito l’afflusso di rinforzi: si venne più tardi a sapere che il nemico aveva già costruite 4 passarelle sul fiume, poiché l’occupazione di q. 92, era l’evidente premessa per successivi sviluppi su nostre più sostanziali posizioni. Anche durante il combattimento, un pezzo dell’artiglieria, rigorosamente controllato dai posti avanzati di osservazione, aveva continuato a martellare la casa, centrandola più volte e obbligando i difensori a uscire all’aperto, mettendosi in posizione di inferiorità di fronte agli attaccanti.

Oltre alla lettera inviata, il Generale Mc. Creery volle manifestare la sua soddisfazione per l’eroismo e l’efficienza dimostrata dalle truppe italiane nei seri combattimenti di q. 92, recandosi personalmente, il giorno 19 marzo, a visitare il Gruppo “Friuli“, per rinnovare di presenza le sue felicitazioni al Comandante e a tutto il Gruppo.
L’occupazione di q. 92 e tutta l’attività operativa nostra e del nemico che si sviluppò attorno a tale posizione non avevano le caratteristiche di un episodio isolato e sporadico, ma rientravano nel complesso operativo deciso dal Comandante del Gruppo per realizzare il suo intendimento, di controllare completamente, sino all’ultima casa e sino all’ultimo guado, la ‘riva meridionale del fiume Senio, allo scopo di potere liberamente, e con sicurezza, preparare le successive operazioni di carattere offensivo che era facile intuire nelle intenzioni dei superiori comandi. Attorno il 20 del mese di marzo, ben consolidata la posizione di q. 92, il Comando del Gruppo di Combattimento, decise di spostare subito, sfruttando il successo ottenuto a q. 92, la linea dei caposaldi avanzati della posizione di resistenza tenendo la direzione nord, sino a raggiungere ovunque il corso del fiume.
L’operazione in preparazione, che rappresentava il corollario dei combattimenti di q. 92, ebbe il nome convenzionale di operazione Ischia “e l’obbiettivo fissato a tale operazione fu la conquista di una serie di fabbricati, in parte abbandonati da ambedue gli avversari, in parte quasi costantemente tenuti dar nemico. Le località che formavano gli obbiettivi erano: Gualdo di Sopra, Bosche di Sotto, q. 112, Salvarelle, Chiesuola, Casone, Cardello, q. 106, Villa Margherita e e q. 107: cioè tutto il complesso di posizioni che era circostante alla base tedesca di Stabilimento Idroterapico, il vero antemurale dell’abitato di Riolo dei Bagni. La preparazione della artiglieria fu iniziata nel pomeriggio del 24 marzo, facendo entrare per la prima volta in azione i cannoni antiaerei del 350 artiglieria, impiegati per tiro su obbiettivi terrestri, cioè particolarmente sui nidi di mitragliatrici, con arresto automatico, situati nella zona circostante a Riolo dei Bagni e su gruppi nemici in movimento segnalati dai posti di osservazione terrestre e aerea dell’artiglieria stessa. Tale impiego di pezzi antiaerei si dimostrò assai efficace e il nemico, individuate le postazioni delle armi a causa dei proiettili traccianti, effettuò ben presto un nutrito fuoco di contro-batteria. Intanto lo schieramento divisionale era stato rafforzato; anziché tre, quattro battaglioni (due per ciascun reggimento di fanteria) furono portati in primo scaglione. L’attacco si iniziò nella notte sul 25 marzo, con tre colonne, costituite da reparti di ambedue i reggimenti di fanteria del Gruppo, preceduti da pattuglie di pionieri e di informatori. Il movimento delle pattuglie avvenne con estrema lentezza, a causa della grande quantità di mine che insidiavano il terreno quasi ovunque, e anche a causa della grande oscurità. Il nemico, che era evidentemente stato messo in allarme dall’intensa preparazione di artiglieria, cominciata la mattina del 24, aveva già cercato, mandando una infruttuosa pattuglia di combattimento all’attacco della posizione di Mongurdina, di disturbare il dispositivo offensivo che era stato preparato. Nella notte il nemico aveva provveduto a mandare nelle zone avanzate verso le nostre linee un numero di pattuglie assai superiore a quello dell’abituale servizio notturno: il pattugliamento del nemico provocava scontri che si concludevano sempre a nostro favore, ma che però servivano ad informarlo dei movimenti dei nostri reparti. Le mine nemiche, disseminate ovunque, fecero anche qualche vittima e il brillamento degli esplosivi contribuì ad eliminare la possibilità della sorpresa.
L’avanzata notturna si poté effettuare regolarmente e, sgominate le pattuglie nemiche di copertura, nel cuore della notte tutti gli obbiettivi assegnati dal Comando di Divisione vennero occupati, all’infuori del gruppo di case coloniche situate sulla q. 106, immediatamente a sud dello Stabilimento Idroterapico di Riolo dei Bagni. In questo gruppo di case il nemico si era sistemato a caposaldo, per coprire efficacemente lo Stabilimento Idroterapico e soprattutto a protezione del passaggio del Senio, dinanzi a Riolo dei Bagni. Nelle prime due case del gruppo dei fabbricati il nemico aveva posto unicamente pattuglie di occupazione temporanea, le quali combatterono violentemente, ma, sopraffatte dal tiro delle nostre armi e dal lancio di bombe a mano, furono obbligate a ritirarsi sulla terza casa, la quale era sistemata come un vero e proprio fortino. Varie feritoie erano state praticate nelle mura della casa e postazioni angolari per mitragliatrici erano state costruite con forte protezione blindata.
Resosi conto della situazione, il comandante del reparto attaccante riordinò rapidamente i suoi uomini e scattò per l’attacco: ma il nemico che godeva, fra l’altro, del vantaggio della visibilità, grazie ai bagliori di un incendio sviluppatosi in un vicino fienile, ebbe buon gioco, stroncando l’attacco con il fuoco continuo e falciante delle sue mitragliatrici. L’attacco fu ripetuto tre volte, con elevato numero di vittime da parte nostra, ma il sacrificio risultò inutile, in quanto il caposaldo non riuscì ad essere raggiunto: quasi tutti gli ufficiali erano morti o feriti, e il numero degli uomini attaccanti si riduceva a una quindicina, piccolo manipolo di valorosi che decisero di ritirarsi solo quando ricevettero un preciso ordine superiore. Desistettero dall’impresa, ma sollecitarono l’onore di essere i primi a partecipare all’immancabile rivincita. Un contrattacco tentato dal nemico venne nettamente stroncato dall’intervento della nostra artiglieria.

IIL “FRIULI” PARTECIPA ALL’OFFENSIVA FINALE

Dopo questa azione, gli ordini superiori che il Comando del Gruppo “Friuli” riceveva dal Comando del X Corpo di Armata, alle cui dipendenze era frattanto passato, consigliavano la preparazione intensa di operazioni offensive ormai ritenute imminenti. Il Gruppo “Friuli “malgrado la sua ormai lunga permanenza in linea, considerava, per sentimento unanime di capi e di gregari, essenziale per il prestigio del rinascente Esercito la partecipazione alla grande offensiva che si preparava sul fronte italiano. Il compito poteva ben facilmente essere previsto difficile e sanguinoso, dato che il nemico, scaltro, fanatico e ancora molto bene armato, dalle sue munitissime posizioni, in tutte le prove e in tutti gli scontri si era sempre dimostrato deciso a far pagare carissimo qualsiasi nostro vantaggio. Tuttavia, nella coscienza generale, sicuramente interpretata dal Comandante del Gruppo, si sentiva sempre assai viva la necessità di un contributo attivo all’offensiva totale che le Nazioni Unite stavano preparando su1 fronte italiano. Tutti si era convinti che una onorevole e generosa partecipazione di nostre truppe a operazioni di grande respiro, aventi obbiettivi d’importanza essenziale, sarebbe stata un grande vantaggio per l’avvenire stesso del nostro Paese.
I soldati del Gruppo “Friuli “ avevano attraversato quasi tutta l’Italia. Avevano visto lo spettacolo spesso straziante di un paese duramente provato dalla guerra, ridotto alla miseria, disseminato di rovine talvolta totali, avevano visto popolazioni che non erano soltanto impoverite, affamate, spogliate di ogni bene, ma avevano sentito la demoralizzazione di un popolo sconfitto, che aveva subito non soltanto gli orrori della guerra ma anche le deportazioni, le rapine, le violenze e gli insulti di un crudele invasore. I soldati del “Friuli” avevano capito che poche e tenui erano ormai le speranze che animavano la massa del popolo Italiano, ma avevano letto molte cose negli occhi della popolazione di Roma, alloro passaggio per le vie dell’Urbe, il 24 novembre; e molte cose avevano intese dagli uomini e dalle donne di tanti altri paesi d’Italia, attraverso i quali erano passati o nei quali avevano sostato. C’era, ovunque, l’espressione commossa e quasi un pò diffidente di chi temeva di illudersi di chi avrebbe voluto credere e aveva paura di andare incontro ad un crudele disappunto. Più o meno confusamente, quasi tutti capivano che se le Nazioni Unite accettavano il contributo militare insistentemente offerto loro dall’Italia, e se, anzi, avevano persino collaborato alla realizzazione di questa offerta sul terreno pratico, il comportamento delle truppe italiane nelle azioni in cui sarebbero state chiamate a partecipare avrebbe significato molto per l‘avvenire e per lo stesso prestigio del Paese nel mondo. Quindi, forse mai accadde che reparti combattenti, dai Comandi sino all’ultimo uomo, sentissero con tanta commossa e seria coscienza la responsabilità storica e morale che pesava su loro.
Gli ordini per l’impiego del Gruppo “Friuli” nell’offensiva non tardarono a venire. Il X Corpo d’Armata il giorno 29 marzo assegnava al Gruppo “Friuli” il compito di costituire una testa di ponte oltre il torrente Senio, nel settore compreso fra Riolo dei Bagni e Cuffiano. Tale testa di ponte doveva essere mantenuta per almeno 24 ore, per consentire il deflusso di altre grandi unità alleate che avrebbero continuata l’azione intesa a scardinare le posizioni nemiche sin oltre la linea del Senio.
Negli intendimenti operativi del Comandante del Gruppo “Friuli” l’azione, che prese il nome convenzionale ”Pasqua“, sarebbe stata effettuata da due battaglioni, preceduta o accompagnata da altre azioni di dettaglio, avènti carattere di colpi di mano, intese a disorientare il nemico sui nostri veri intendimenti operativi e a richiamare riserve e rincalzi nemici in zone diverse da quelle costituenti gli obbiettivi principali. Il Gruppo doveva essere pronto ad effettuare l’operazione con un preavviso di 48 ore a partire dall’alba del 7 aprile.
Il Generale Mc. Creery, Comandante l’VIII Armata, in un ordine del giorno distribuito a tutte le truppe dipendenti dall’Armata (che viene riprodotto a parte nell’originale del suo testo italiano) rivolgeva un particolare saluto alle nostre truppe con queste parole: “sono particolarmente lieto che truppe italiane sono affiancate all’armata dell’impero per dare il colpo di grazia alla potenza tedesca in Italia e per cooperare con gl’intrepidi partigiani alla difesa della Patria. Insieme procederemo sino alla vittoria finale “.

Il Comandante del Gruppo Combattimento “Friuli“ diramava, frattanto, il seguente  messaggio alle sue truppe:

Ufficiali, sottufficiali e soldati del mio Gruppo di Combattimento “Friuli”

Dopo due mesi di ansiosa attesa, durante i quali avete assolto brillantemente il compito affidatovi di difendere un importante settore dell’VIII Armata inglese, è giunto il momento di dare al nemico il colpo di grazia. Questo nemico, in questo ininterrotto periodo di linea, ha già avuto modo di conoscere il valore, lo slancio e la fede del nuovo soldato italiano. I migliori soldati ancora rimasti all’agonizzante esercito tedesco, venuti di fronte al “Friuli “ con intenzioni spiccatamente aggressive, non hanno mai potuto fare un passo avanti. Sono stati anzi costretti a cedere la maggior parte dei loro importanti caposaldi ancora esistenti a sud del Senio. Questo nemico, oggi più che mai, può essere facilmente travolto, come lo fu già 27 anni or sono, ad opera dei vostri padri, sulla linea del Grappa e del Piave. Tutto il fronte Alleato sarà in movimento. Tutta la potenza dell‘aviazione, dell‘artiglieria, dei carri armati e dei fanti del 15° Gruppo di Armate ALLEATE sarà gettata in questa battaglia finale per la completa liberazione della nostra amatissima Patria. Anche il “Friuli“, per le prove di fiducia sinora date, potrà scattare dalle sue attuali posizioni per attaccare finalmente, con armi maneggiate da saldi cuori italiani, l’odiato nemico.
Ufficiali, sottufficiali, soldati del Gruppo Combattimento” Friuli “! Sono sicuro che sentirete l’onore e l’onere dell’importante compito affidatovi.
Tutta l’Italia guarda a voi in questo momento. E la prova decisiva.
Attaccate il nemico con tutto il vostro slancio. La Patria vi sarà riconoscente per questo nuovo sforzo che voi fate per il suo onore e per la sua libertà.

Viva l’Italia!Il vostro Comandante
F.to Generale ARTURO SCATTINI

Lo stesso Maresciallo Alexander, accompagnato dal Generale Mc. Creery, comandante l’VIII Armata e dal Generale Hawkesworth, comandante il Corpo d’Armata, onorò il Gruppo di una sua visita il 7 aprile. Il Comandante di tutto il teatro di operazioni del Mediterraneo si disse sicuro che le truppe del “Friuli” avrebbero superato brillantemente la difficile prova, anche se di fronte si aveva la 4a Divisione paracadutisti, la più attrezzata ed efficiente unità tedesca.
Un’intensa attività fu disposta nei giorni precedenti l’attacco, per riconoscere le località immediatamente a nord del Senio, davanti alle linee nemiche, mentre, nelle retrovie, i due battaglioni destinati all’attacco venivano intensamente addestrati al passaggio di corsi d’acqua con passerelle, zattere, battelli d’assalto. Per queste esercitazioni erano state scelte zone della valle del torrente Lamone che presentavano le stesse caratteristiche del terreno di attacco a nord del Senio. I reparti che si trovavano in linea, oltre all’attività esplorativa di pattuglie, stavano preparando, con il concorso dei pionieri e del genio, il maggior numero possibile di passaggi sicuri attraverso i campi minati a sud dèl fiume ed organizzavano e preparavano le pattuglie di collegamento destinate a guidare i reparti attaccanti. Dal canto suo, l’artiglieria del Gruppo stava preparando e attuando lo schieramento offensivo, concretando i piani di fuoco per l’azione e, nello stesso tempo, continuando ad assicurare in ogni momento il necessario fuoco di disturbo e di difesa e assolvendo pure il compito di costringere il nemico ad abbandonare il caposaldo di q. 106 che era stato oggetto dei precedenti sanguinosi comb attimenti.
I quattro gruppi da 25 libbre del 35° Reggimento Artiglieria si erano già spostati dalla valle deI torrente Lamone nella valle del torrente Sintria, movimenti che venivano effettuati a scaglioni, nel corso della notte. Quanto entusiasmo in questi artiglieri che finalmente vedevano attuato il loro vivo desiderio di essere molto più vicini ai fanti e di formare con essi un potente blocco offensivo!
L’ordine di attacco giunse il giorno 8 aprile. Ora “H”, le quattro e trenta del giorno 10, con una preparazione di artiglieria di 45’. I battaglioni comandati per l’azione di attacco, vengono portati in posizione di attesa nella notte sul 9. La vera azione offensiva doveva essere preceduta da un attacco secondario per occupare le località di Isola, C. Serotina e q. 106 e attrarre da quella parte le riserve di settore del nemico. La preparazione di artiglieria per la diversione tattica durò 30’, poi i reparti mossero all’attacco e q. 106 venne raggiunta e occupata. Un contrattacco nemico nella direzione di Gualdo di Sotto venne immediatamente bloccato. Alle ore 3,45 si iniziò la preparazione di fuoco dell’artiglieria per il vero e proprio attacco, che doveva avere come obbiettivi immediati, oltre alla q. 69, Abbazia, Villa Mongardi, Ferlotta e Cuffiano.
Durante la preparazione dell’artiglieria vengono gettate le passerelle di passaggio sul Senio e i reparti attaccanti si portano sulla base di partenza. Alla sinistra doveva operare un battaglione dell’88° Fanteria con due compagnie avanzate che avevano per obiettivi Abbazia, Villa Mongardi e Palazza; alla destra un battaglione dell’87° Fanteria anch’esso con due compagnie avanzate, che avevano come obbiettivi immediati Casa Punta e Fonte, sulla rotabile Castel Bolognese-Riolo dei Bagni, ad ovest di Cuffiano.
Sulla destra del nostro dispositivo un reparto della Brigata Ebraica doveva minacciare contemporaneamente Cuffiano procedendo alla occupazione del Molino Fantaguzzi. Compiuta la preparazione di artiglieria le compagnie avanzate, all’ora fissata, scattano per l‘attacco e attraversano rapidamente il Senio. Il nemico subì la sorpresa iniziale, ma non tardò a reagire con tutta l’efficacia del suo potenziale, sottoponendo le truppe attaccanti a un fuoco infernale di armi automatiche e di mortai. Si ebbero immediatamente perdite assai gravi, proporzionalmente molto sensibili fra gli ufficiali; ciò nonostante gli obbiettivi di Abbazia e di Casa Punta furono presto raggiunti. Più tardi però l’ala sinistra delle forze attaccanti costretta a ripiegare da Abbazia; invece la destra, malgrado l’insidia del terreno fortemente minato che aumentava le nostre perdite, riuscì a raggiungere e a mantenere le posizioni di Fonte, benché il nemico insistesse rabbiosamente nel sottoporre il reparto ad azioni di fuoco e a contrattacchi sempre rinnovati. Il successo raggiunto, benché non totale, rianimò ed incitò i combattenti: d’altra parte i Comandi avevano avuto la conferma di quanto era già noto attraverso il servizio informativo, cioè che, a nord del fiume, in direzione di Casa Peschiera e a sud di Punta, si trovava il principale caposaldo della linea nemica, cioè la grossa casa colonica fortificata di Guarè.
La casa di Guarè era tutta circondata da postazioni d’arma, coperte e in parte blindate, rafforzate in calcestruzzo, con i principali punti di resistenza situati sui fianchi e dietro i fabbricati, tutti serviti da camminamenti che permettevano il rifornimento delle postazioni qualunque fosse l’azione di fuoco del nemico.
Guarè era inoltre collegata da due strade, di cui una rotabile, con il guado del Senio antistante a casa Peschiera; nelle case del Molino di q. 61, nelle altre case antistanti il guado stesso e sulle stesse rive del fiume, erano state predisposte buche per postazioni d’arma che potevano permettere di dominare assai bene tutta la zona. L’edificio di Guarè, sistemato a ricovero, poteva anche ospitare un discreto numero di uomini.
Esso divenne non soltanto il centro della resistenza nemica, ma anche la base del principale contrattacco tedesco, il quale però, ostacolato dai concentramenti a massa dell’artiglieria, venne respinto dalle fanterie. Per tutta la mattinata la fanteria ebbe la continua collaborazione dei gruppi di artiglieria che sparavano ininterrottamente sulle postazioni di mortai e sui nidi di armi automatiche nemiche; principalmente Guarè veniva continuamente martellata e gli osservatori nemici venivano annebbiati con cortine fumogene.
Riordinati i reparti attaccanti, alle 14,15, dopo una nuova breve ma intensa preparazione di artiglieria, venne sferrato un altro attacco partendo dalle posizioni raggiunte ed avendo come obbiettivo principale il caposaldo di Guarè. Fra la polvere, il fumo e il frastuono infernale della battaglia combattuta in pieno giorno, i mortai e le armi automatiche nemiche approfittavano di ogni istante di sosta dei nostri tiri di interdizione per opporre una rabbiosa reazione all’avanzata dei reparti attaccanti. Malgrado l’enorme difficoltà, la testa di ponte venne ulteriormente ampliata, ma il caposaldo di Guarè restò ancora in mano nemica, senza peraltro impedire che i nostri reparti, lavorando sul terreno sotto il continuo fuoco nemico e sostenendo e respingendo ancora diversi contrattacchi, riuscissero brillantemente a consolidare le posizioni al di là del Senio e a dare sicura protezione ai passaggi stabiliti sui guadi del fiume.

L’INSEGUIMENTO DEL NEMICO E LA LIBERAZIONE DI RIOLO BAGNI, IMOLA, CASTEL S. PIETRO E BOLOGNA

Durante la notte sull’11 aprile forti pattuglie di combattimento che avevano l’ordine di spingersi sulla rotabile che conduce a Riolo dei Bagni, e anche oltre, portarono la notizia d’avere constatato il ripiegamento del nemico e l’abbandono da parte sua della linea del Senio. Il Comando del Gruppo di Combattimento impartì immediatamente l’ordine di movimento per impedire al nemico di sganciarsi, mantenere il contatto e procedere all’inseguimento. Alle ore 3,15 dell’ 11 aprile fu occupata GUARÈ; qualche ora dopo le nostre truppe liberarono RIOLO DEI BAGNI. La linea del Senio non esisteva più e si iniziava una nuova fase della battaglia.
Intanto i nostri soldati imparavano a conoscere l’emozione della liberazione portata a fratelli italiani che da mesi stavano soffrendo, contemporaneamente, pur essendo civili, gli orrori della guerra e le barbare durezze dell’occupazione tedesca. Il fronte si era fermato nella zona del Senio, contrariamente ad ogni previsione all’inizio dell’inverno del 1944, nei mese di dicembre. Gran parte delle popolazioni civili, sperando che le truppe operanti non si fermassero molto in quella zona, avevano creduto di poter fare a meno di abbandonare le loro case e i loro averi.
Dalle due parti del fronte, a nord e a sud del Senio, nelle case e negli abitati che costituivano i caposaldi della linea, si era dato lo spettacolo, invero singolare, di borghesi, uomini e donne, che convivevano con soldati,sottoposti alle stesse azioni di fuoco delle opposte artiglierie e degli opposti mortai, per lo più alimentati con lo stesso rancio delle truppe (almeno nel settore a sud del Senio) e, sempre nel nostro settore, costretti a vivere quasi sempre nei ricoveri costruiti nelle cantine delle case.
Se poco lieta era la condizione dei borghesi che vivevano insieme alle nostre truppe e ne dividevano molte privazioni e taluni pericoli, assai più dura era la situazione di quegli altri che si erano trovati a Riolo di Bagni, a Cuffiano, nelle case situate lungo la rotabile. Ciò non era dovuto certamente al fatto che le nostre azioni di fuoco di artiglierie e di mortaio erano molto più intense, sotto ogni aspetto, di quanto non fossero quelle dei tedeschi. lui realtà, il Comandante del Gruppo “Friuli”, pur potendo disporre di un assai grande volume di fuoco, ne avevi deliberatamente delimitata l’azione distruttiva, poiché teneva conto che a nord del Senio, e in specie negli abitati di Riolo e di Cuffiano,vivevano e soffrivano altri italiani, le cui vite e i cui beni sarebbero stati distrutti dai nostri tiri.
Infatti non soltanto i tedeschi pretendevano di consumare lo riserve alimentari e tutto quanto di commestibile potevano trovare nelle se e nei paesi, ma obbligavano, con la loro consueta brutalità, gli uomini, e talvolta anche le donne, a lavorare per loro sul terreno sempre esposto all’offesa del nostre fuoco. Talvolta giungevano nelle nostre linee uomini, donne e bambini che avevano attraversato il Senio rischiando le insidie delle mine, e talvolta lasciando vittime.
Passando nell’acqua ghiaccia col rischio di essere fatti segno alle raffiche della mitragliatrice, giungevano a noi smunti, laceri, affranti.
Non soltanto in questo consisteva il tormento delle popolazioni che dovevano vivere in mezzo alle linee tedesche. In una notte di marzo gli uomini di una pattuglia nostra, che era in agguato ad un guado del Senio, udirono, dall’altra riva, dalle case fra Punta e Palazza, ripetersi per tre volte uno spaventoso grido di voce femminile, che esprimeva orrore e angoscia. Dopo un mese, al momento dell’avanzata, in una di quelle case, a Villa Mongardi venne trovato il corpo ignudo di una giovane donna violentata e strozzata, che risultò essere stata rapita da paracadutisti tedeschi a Cuffiano in giorno ed ora perfettamente corrispondenti allo strano, doloroso grido segnalato da quella pattuglia.
Gli episodi di questo genere bastano per far capire quale fosse la gioia degli abitanti della zona che venivano liberati, e che vedevano nei liberatori i loro fratelli italiani.
I battaglioni che avevano combattuto per costituire la testa di ponte vengono ritirati per riordinarsi, e per colmare i numerosi vuoti causati dalle perdite; subentrano altri battaglioni che iniziano l’inseguimento Verso la valle del torrente Santerno.
La sostituzione del Gruppo “Friuli” con altra divisione alleata, che avrebbe dovuto scavalcano appena costituita la testa di ponte, come era stato preannunciato prima dell’offensiva, non avvenne. Toccò ancora, quindi, agli uomini del “Friuli” il compito dell’avanzata e dell’inseguimento, con tutte le difficoltà e tutti i problemi che ne derivano per le fanterie, che devono superare i nuclei e i caposaldi sistemati dal nemico per ritardare l’inseguimento; per le artiglierie, che spostandosi continuamente e rapidamente, non debbono mai lasciare mancare il loro prezioso appoggio; per il genio, che deve aprire varchi e strade attraverso campi minati e notevoli e frequenti interruzioni; per i Comandi che si trovano in difficoltà per mantenere il collegamento con i reparti avanzati; per organizzare la sicurezza sui fianchi e il collegamento con le unità che stanno operando sulla destra e sulla sinistra dello schieramento del “Friuli”. Tutto assieme,il movimento in direzione ovest e nord-ovest fu anche rallentato dalla configurazione del terreno e dalla mancanza di comunicazioni in senso longitudinale.
Operando sempre a sud della Via Emilia si tagliano le valli che vanno in senso trasversale alla direttrice di marcia: questo obbliga i reparti a lunghe e faticose marce con alternative di continue salite e discese, su terreno collinare e campestre, per strade spesso sapientemente interrotte e su un terreno metodicamente e abbondantemente minato dal nemico, talvolta, anche per economia di materiale, con false mine costituite da scatole metalliche vuote, che raggiungono però ugualmente lo scopo di far perdere tempo alle truppe avanzanti e di suscitare confusioni talvolta fatali.
Occupato Castel Bolognese, nella notte sui 12 aprile, da parte dei fucilieri carpatici della Divisione Polacca che operava sulla destra, per poter alimentare in profondità l’azione, dopo aver passato il fiume Santerno e dopo aver superato di balzo i corsi d’acqua fra il Senio e il Santerno stesso, il settore del Gruppo venne suddiviso in due sottosettori reggimentali: sulla destra, a contatto con la divisione Carpatica polacca, agiva l’87° Reggimento fanteria; a sinistra, a contatto con il Gruppo Italiano di Combattimento “Folgore”, agiva 1‘88° Fanteria. Ognuno dei due reggimenti operava con un battaglione in primo scaglione e gli altri due, a conveniente distanza, in secondo e terzo scaglione. Superata la difesa nemica sul Santerno, dopochè i polacchi liberarono Imola con il concorso dei reparti di estrema destra del “Friuli“, sempre operando sulla direttrice della Via Emilia (strada statale n. 9), continuò l’inseguimento, contrastato da azioni ritardatrici del nemico al passaggio dei vari fiumi e particolarmente al torrente Sallustra, al torrente Sabbioso e al Sillaro, ove la resistenza, nell‘abitato di Castel San Pietro dell’Emilia, si fece piuttosto dura. Dopo oltre 36 ore di lotta il nemico si ritirava notte tempo e reparti italiani e polacchi entravano contemporaneamente nella cittadina duramente provata, mentre l’intero Gruppo proseguiva l’avanzata, particolarmente difficile per le artiglierie, alle quali era arduo compito il mantenere il contatto balistico con i reparti avanzati, dato il gravoso lavoro rappresentato talvolta dal passaggio di corsi d’acqua.
Dopo la resistenza sui Sillaro e a Castel San Pietro dell’Emilia, una nuova e ben più forte resistenza viene compiuta dal nemico al torrente Gaiana ove le nostre fanterie si attestavano verso la sera del 17 aprile. La mattina deI 18 elementi avanzati dei due reggimenti di fanteria tentarono il passaggio del torrente, ma si trovarono di fronte a violenta reazione e a un notevole schieramento difensivo. Per tutto il giorno 18 i mortai e l’artiglieria batterono i caposaldi nemici, fra i quali i due più forti centri di resistenza e di sostegno erano il palazzo Coccapane, poco a sud della Via Emilia e l’abitato di Casalecchio dei Conti e di casa Grizzano, veri perni di tutta la fortemente organizzata linea nemica, che i tedeschi dovevano assolutamente tenere per consentire il ripiegamento dei loro reparti impegnati dalla V Armata Americana nel settore montano appenninico. L’azione dell’artiglieria veniva appoggiata dal tiro preciso ed estremamente efficace degli apparecchi della “Desert Air Force “, che distruggevano completamente il caposaldo di palazzo Coccapane.
Per le prime ore del 19 aprile veniva deciso dal Comandante del Gruppo” Friuli “e dal Comandante del Gruppo ”Folgore“ un attacco che doveva essere effettuato da un battaglione dell’88° Rgt. Fanteria e da un battaglione del reggimento “Nembo”.
Per tutta la notte precedente veniva effettuato intenso tiro di disturbo sui centri di resistenza nemica: alle 5,30 si compivano i concentramenti di artiglierie in preparazione dell’attacco.
Gli obbiettivi dei due battaglioni erano distinti, ma convergevano su un unico obbiettivo comune, Varignana, nella valle del torrente Quaderna.
Il percorso per il battaglione dell’88° Fanteria aveva come tappe luogo, la chiesa di q. 168 di Casalecchio dei Conti e l’abitato di questo stesso paese. I reparti della “Folgore avevano invece come tappa intermedia la località di Grizzano, sulla sinistra.
Varignana avrebbe dovuto essere raggiunta in convergenza da queste due posizioni intermedie. Il giorno 19 aprile, alle ore 5,45, il battaglione del reggimento “Nembo” e il battaglione granatieri dell’88° Rgt. Fanteria, scelti per l’operazione, scattavano contemporaneamente per l’attacco. Mentre gli uomini del battaglione “Nembo” raggiungevano le prime case di Grizzano, superando con grande slancio la violenta reazione nemica, i plotoni avanzati dell’88° Fanteria raggiungevano Luogo, la Chiesa di q. 168 e la Fratta. Mentre i paracadutisti, catturati alcuni prigionieri, impegnavano una decisa lotta corpo a corpo per sloggiare il nemico asserragliato ancora in altre case di Grizzano e dalle quali reagiva con intenso fuoco di mitragliatrici e con furiosi contrattacchi, anche i granatieri dell’88°, pur tentando ininterrottamente, con i loro plotoni, di spingersi nel dispositivo nemico, rimanevano per tutto il giorno abbarbicati alle posizioni raggiunte dato il terreno difficile e la difesa nemica che si valeva del villaggio di Casalecchio dei Conti come di munitissimo caposaldo, rafforzato da postazioni in caverne. Sia a Grizzano che davanti a Gasalecchio i due battaglioni italiani erano impegnati in un duro e sanguinoso duello con i reparti tedeschi e fatti segno a fuoco preciso e micidiale dei tiratori scelti nemici. L’artiglieria del 35° Reggimento interviene con largo impiego di fuoco sia in sostegno dei paracadutisti del “Folgore“, sia in sostegno dei granatieri dell’88° e stronca diversi contrattacchi nemici. Per tutto il giorno la posizione rimane invariata, con notevoli perdite. Un altro battaglione dell’88°, verso sera sviluppava una manovra aggirante che il nemico riusciva ad evitare: soltanto nottetempo il nemico, duramente provato dai nostri contrattacchi, sgombera Casalecchio dei Conti consentendo ai nostri reparti di riprendere l’avanzata e di occupare Varignana, ostacolati soltanto dai tiratori scelti delle retroguardie nemiche.
La battaglia del Gaiana è l’ultimo scontro di grandi proporzioni che le truppe del “Friuli“, affratellate con i brillanti battaglioni del “Folgore “, devono affrontare sulla via di Bologna. Doveva però toccare al reparto operante più a nord, nella pianura della Via Emilia, e cioè all’87° Fanteria, l’onore di una operazione di vera importanza strategica, che la stessa radiotrasmissione quotidiana dell’ VIII Armata, e altri documenti altrettanto ufficiali, dovevano definire “decisiva” per la liberazione di Bologna: cioè la costituzione della testa di ponte sull’Idice.
L’87° Fanteria era fermo nella pianura, in attesa della fine dei combattimenti e della ripresa dell’avanzata da parte dell’88° Fanteria e del “Folgore”, che si trovavano sulla sua sinistra. Il giorno 20 si rimetteva in movimento insieme ai polacchi della Divisione Carpatica. Per una strana sensibilità quasi subcosciente, mentre la ragione faceva pensare alla probabilità di resistenze tedesche sull’Idice, sul Savena, sul San Lazzaro (come del resto annunciavano tutti i prigionieri tedeschi che venivano rastrellati in quella giornata) qualcosa faceva intuire che si era alla vigilia di grandi avvenimenti.
Le nostre truppe avanzavano in mezzo alla campagna a sud della Via Emilia, districandosi abbastanza rapidamente nel terreno insidiato dalle mine, per disagevoli e polverose strade campestri, nelle quali tutti i ponti erano stati fatti saltare. I soldati erano stanchi, la giornata era già calda, e gli uomini che non potevano avere automezzi al seguito dato il tipo di percorso che dovevano fare, erano costretti a portare sulle spalle un sacco abbastanza pesante, ma tuttavia non mostrarono di sentire il peso e la stanchezza. Proseguivano raggianti, con una grande luce negli occhi, impazienti di arrivare alla agognata meta. Sulla loro destra, sulla Via Emilia, la fanteria polacca avanzava in condizioni migliori, perché seguita da tutta la colonna dei suoi autocarri.
In mezzo alla polvere della strada frequentemente interrotta, accanto alle fanterie che marciavano in fila indiana silenziose, affaticate, procedeva una “cantina mobile “ del N.A.A.F.I. autocarrata.
Il lontano rombo dei mezzi cingolati avanzati, delle artiglierie sempre impegnate, i frequenti scoppi di mortai e, di tanto in tanto, il crepitio rabbioso di qualche mitragliatrice, erano quasi sovrastati dagli enormi altoparlanti della cantina mobile, che diffondevano per la Via Emilia e per le campagne circostanti, a tono altissimo dischi di jazz e allegre canzonette americane a ritmò sincopato. Le note di musica sembravano quasi portare, fra i combattenti polacchi e italiani, la promessa di una pace vicina, il ritorno di una vita più facile, nella quale fosse nuovamente permesso indulgere alle danze e ascoltare qualche musica senza doversi di tanto in tanto gettare a terra per lo sgradito arrivo di una bomba di mortaio.
I reparti più avanzati erano attestati a poche decine di metri dal corso dell’Idice. Negli avamposti e davanti agli avamposti, il silenzio e il deserto delle estreme posizioni della linea. Già erano passati i tedeschi, disseminando le tracce del loro passaggio: oggetti vari di equipaggiamento, perduti o gettati dalle truppe retrocedenti, e, ovunque, traccie di demolizione; ma non era già più la demolizione metodica, spietatamente efficace e distruttiva, che si era riscontrata sino a pochi giorni prima. La ritirata del nemico stava diventando una rotta, e non c era neppure più il tempo di misurare l’efficacia delle cariche esplosive, di seppellire le mine, di ricorrere ai consueti mezzi per rendere difficile la vita alle truppe vittoriose lanciate all’inseguimento. La macchina di guerra tedesca cominciava a funzionare malissimo, e lo si vedeva persino dall’assoluta inefficienza della consueta propaganda; i manifestini disseminati a piene mani sulle direttrici dell’avanzata degli italiani e dei polacchi, erano tutti scritti nelle varie lingue dell’India.
Molto di rado, qualche scarica di mitragliatrice tedesca annunciava vicinissima la presenza di qualche nucleo nemico di resistenza: ma nel silenzio di quella atmosfera, attonita per il passaggio della guerra, si sentiva l’attesa e la speranza della vittoria. Dagli osservatori avanzati già si profilavano in distanza le torri di Bologna: come la meta di un lungo viaggio la città attesa e desiderata prometteva alle truppe avanzanti il premio più ambito. Da mesi e mesi tutti sapevano che Bologna era la chiave e il perno della resistenza tedesca in Italia.
Ora, Bologna era vicina: gli italiani del Gruppo di Combattimento “Legnano”, del Gruppo “Folgore” “, del Gruppo “Friuli“, della brigata volontaria “Maiella“, incorporata quest’ultima nella divisione polacca carpatica e posta in primissimo scaglione, l’avevano già, si potrebbe dire, a portata di mano: forse il confuso rombo che anche dagli avamposti si udiva nell’aria, il caratteristico rumore della guerra moderna, copriva, ma non nascondeva completamente il fruscio dell’ala della vittoria che volava dinnanzi alle prime schiere.
La sera del 20 aprile il Comando dell ‘87° Regg. Fanteria ricevette l’ordine di procedere, nella notte sul 21 aprile, alla costituzione di una testa di ponte sull’ Idice. Affidata l’operazione al battaglione avanzato di questo reggimento, la testa di ponte venne costituita immediatamente a sud della Via Emilia, con pochissime perdite da parte nostra. Era il colpo finale: la sorte di Bologna era ormai decisa. Alle prime luci dell’alba due compagnie, una per settore, vengono avviate al torrente Savena con compito di ricognizione e di rastrellamento. Il nemico, nella lotta, aveva sgomberato non solo la linea del Savena ma anche Bologna. Nelle primissime ore del mattino un battaglione dell’87° Fanteria, affiancando i reparti polacchi, entrava in Bologna accolto dalla popolazione nella maniera più commovente.
Bologna aveva vissuto giorni e giorni di ansia e di terrore, mentre l’ora della liberazione dai tedeschi si stava avvicinando. Si era temuta la distruzione della città, si erano temute inaudite rappresaglie da parte dei tedeschi e dei neo-fascisti.
Quando, dopo una notte in cui era stato più severamente che mai applicato l’ordine del coprifuoco, e dopo alcune ore di totale, misterioso silenzio, sul far del giorno si era risentito per le strade il passo delle truppe, i curiosi affacciandosi sulle vie non avevano tardato a riconoscere le uniforme dei liberatori. Tutta la popolazione si riversò tosto per le strade, si avvicino ai soldati sopraggiunti, e tentò timidamente di interrogarli, non sapendo quale lingua si sarebbe dovuto parlare: l’entusiasmo della liberazione si accrebbe e divenne incontenibile, quando dalla bocca dei soldati udirono fiorire parlate italiane, e qualche volta la stessa e cordiale piacevolezza del dialetto bolognese. Le scene che si videro allora, si prolungarono per tutta la giornata con gli Italiani, con gli Inglesi, con gli Americani, con i Polacchi: ogni macchina che arrivava in città, ogni reparto di truppa che vi transitava, ogni soldato isolato riceveva il suo tributo di fiori e di abbracci, e cento mani si protendevano per offrire un bicchier di vino, una. sigaretta, una cartolina. Fino all’ora del coprifuoco del giorno 21, e per tutto il giorno successivo, Bologna visse in allegra frenesia, in mezzo a manifestazioni di gioia incontenibili per i pericoli scampati, per la liberazione ottenuta, per la riconoscenza sincera ed aperta per i suoi liberatori.
Il ciclo operativo del “Friuli “, dalla valle del Lamone a Bologna, era concluso ed era seminato di sacrifici, di eroismi, di vittime e di fatiche, ma poteva ben dirsi che si era concluso con onore e con gloria. Un buon colpo era stato assestato al nemico, un contributo sostanziale era stato dato allo scardinamento del sistema e del dispositivo militare per l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale.
La notizia della conclusione dell’armistizio fra il Comandante del 15° Gruppo di Armate e il Comandante tedesco del coprifuoco del giorno 21, e per tutto il giorno successivo, Bologna visse in allegra frenesia, in mezzo a manifestazioni di gioia incontenibili per i pericoli scampati, per la liberazione ottenuta, per la riconoscenza sincera ed aperta per i suoi liberatori.
Il ciclo operativo del “Friuli “, dalla valle del Lamone a Bologna, era concluso ed era seminato di sacrifici, di eroismi, di vittime e di fatiche, ma poteva ben dirsi che si era concluso con onore e con gloria. Un buon colpo era stato assestato al nemico, un contributo sostanziale era stato dato allo scardinamento del sistema e del dispositivo militare per l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale.
La notizia della conclusione dell’armistizio fra il Comandante del 15° Gruppo di Armate e il Comandante tedesco del sud raggiungeva il Gruppo “Friuli “ mentre si trovava, in fase di riordinamento e di riposo, nelle colline a sud di Imola: gli uomini che avevano combattuto, in quella sera, mentre tutta la pianura padana si punteggiava di razzi multicolori e di proiettili traccianti tirati verso il cielo in segno di gioia, forse, prima ancora che alle famiglie lontane, rivolsero un pensiero alla distesa di bianche croci del cimitero di Zattaglia e a quanti avevano ricevuto la notizia in una corsia di ospedale, doloranti, spesso soli in mezzo a stranieri di cui non capivano la lingua.

Aggiornato al 24 febbraio 2022