CROCE Carlo

nasce a Roma il 15 aprile 1892 (Wikipedia). Tenente colonnello di complemento fanteria (bersaglieri), partigiano combattente.

Soldato nel 5° reggimento bersaglieri nel 1912, entrò in guerra nel maggio 1915 col grado di sergente. Nominato sottotenente alla fine delle stesso anno nel 6° bersaglieri, nell’agosto 1916 fu promosso tenente e un anno dopo lasciò il fronte per una grave ferita riportata a Monte Cappuccino sul Carso. Congedato nel 1920 col grado di capitano, fu promosso maggiore nel luglio 1938, dopo un breve periodo di richiamo per istruzione. Richiamato ancora nel giugno 1942 ed assegnato alla seconda base tradotte militari del Corpo italiano in Russia, vi prestò servizio fino al suo rimpatrio per malattia nel gennaio 1943. Conseguita la promozione a tenente colonnello con anzianità 1° gennaio 1942, si trovava, alla data dell’armistizio, nel Varesotto comandante di un distaccamento del 3° bersaglieri. Con i suoi bersaglieri e con altri giovani patrioti della vallata costituì il gruppo militare Cinque Giornate che verso la metà di novembre 1943 già comprendeva oltre centocinquanta uomini. Arrestato il 13 luglio 1944 in Val di Togno da una pattuglia confinaria, fu prima ricoverato nell’ospedale di Sondrio e poi in quello di Bergamo dove decedeva.

Comandante di distaccamento del terzo reggimento bersaglieri a Porto Val Travaglia, con i suoi soldati e con alcuni patrioti organizzava, dopo l’armistizio, la resistenza all’invasore tedesco mantenendo le posizioni fortificate di San Martino di Vallalta. Più volte rifiutate le offerte del nemico, il 13 novembre 1943, con soli 180 uomini, sosteneva per quattro giorni di furiosa lotta l’attacco di 3000 tedeschi, infliggendo gravi perdite, abbattendo un aereo, distruggendo alcune autoblinde incappate su campo minato. Ferito e serrato senza apparente via di scampo, con ardita azione, sì apriva la strada fino al confine svizzero, trasportando gli invalidi e ritirandosi per ultimo dopo aver fatto saltare il forte. Insofferente di inazione e dopo un primo fallito tentativo di rientrare in Italia, varcava nuovamente il confine con sei compagni. Attorniato da nemici e gravemente ferito ad un braccio cadeva prigioniero. Prelevato dalle SS. dall’ospedale di Sondrio, poche ore dopo di avere subita l’amputazione del braccio destro, veniva barbaramente torturato senza che gli aguzzini altro potessero cavargli di bocca se non le parole: « Il mio nome è l’Italia ». Salvava con il silenzio i compagni, ma, portato irriconoscibile all’ospedale di Bergamo, chiudeva nobilmente poche ore dopo la sua fiera vita di soldato. — Bergamo, 24 luglio 1944.


Gruppo Medaglie d’Oro al Valore Militare, Le Medaglie d’oro al Valore Militare, volume secondo (1942-1959), [Tipografia Regionale], Roma, 1965, p. 504.