GRASSA Bartolomeo

nasce a Rivara (Torino) il 3 gennaio 1897 (Wikipedia). Capitano complemento fanteria, partigiano combattente.

Ultimata a Torino la Scuola tecnica industriale nel 1914, due anni dopo, nel settembre 1916, fu chiamato alle armi e nel febbraio 1917 era già in trincea come fante. Aspirante prima e sottotenente poi nella Brigata Novara, combatté sul Carso e sul Basso Piave. Promosso tenente nel luglio 1918 e rientrato al deposito del 67° al termine della guerra, fu collocato in congedo nel maggio 1920. Riprese nella vita civile la sua attività di scultore ebanista e su invito di un Istituto Salesiano impiantò un laboratorio di ebanisteria a Macao in Cina, dove insegnò per oltre cinque anni. Rientrato in patria passò ad insegnare a Torino presso istituti religiosi ed infine fu assunto da una fabbrica di bigliardi, come viaggiatore e fiduciario. Richiamato nel giugno 1940, prestò prima servizio in battaglione della M.T. (Milizia Territoriale) mobile in Calabria e a Taranto ed in seguito, dal febbraio 1942, presso il XXII gruppo appiedato dei Cavalleggeri Palermo in difesa costiera e antiparacadutista. Alla data dell’armistizio dell’8 settembre 1943 era in famiglia in licenza di convalescenza. Ma il 18 ottobre successivo raggiungeva sul Monte Soglio, nel Canavese, la formazione partigiana Boiri che ben presto raggiunse la forza di circa cento uomini. Con decreto del 13 aprile 1948, fu promosso capitano con anzianità 15 ottobre 1941.

Cinquantenne, ufficiale di complemento con quattro figli, subito dopo l’8 settembre 1943 si arruolava nelle file partigiane per combattere i tedeschi, spinto da insopprimibile amore per l’Italia e la libertà. Comandante di una formazione partigiana, fin dai primi scontri dava prove di coraggio non comune e di superbo sprezzo del pericolo. Divenuto il suo nome bandiera, fu ricercato con particolare accanimento dal nemico che temeva il vecchio soldato esperto guerriero. In un attacco sferrato dai nazifascisti con preponderanza di forze e di mezzi, alla testa dei suoi uomini ne conteneva l’urto e ne contrastava l’avanzata finché, dopo molte ore di strenua e valorosa resistenza, vista vana ogni ulteriore difesa, ordinava al suo reparto di ripiegare e con pochi audaci rimaneva sul posto per coprire col fuoco la ritirata dei compagni. Esaurita l’ultima cartuccia, veniva catturato. Non valsero le disumane torture né il ricordo dei suoi quattro figlioletti a fargli infrangere lo stoico silenzio. I tedeschi, impotenti a piegarlo alla loro volontà, lo condannavano alla fucilazione riconoscendolo: accanito difensore e audace animatore di ribelli. Agli esecutori dell’infame sentenza gridava fieramente in faccia che il suo sacrificio era propiziatore di vittoria e cadeva sotto una raffica di piombo nemico. Mirabile esempio di amor patrio e di quella volontà di sacrificio che trasumana in eroi. Forno Canavese, 9 dicembre 1943.


Gruppo Medaglie d’Oro al Valore Militare, Le Medaglie d’oro al Valore Militare, volume secondo (1942-1959), [Tipografia Regionale], Roma, 1965, p. 359.