BIANCHI, Mario

Mario Bianchi

Mario Bianchi in una foto del 1945 (19 anni)

Dopo l’otto settembre 1943, quali sono state le ragioni che l’hanno convinta ad essere prima partigiano (GAP) e, poi, in qualità di fante, nell’87° Rgt. fanteria del Gruppo di Combattimento Friuli?

 Mi sono trovato preparato per entrare nei GAP ro­mani perché la mia fami­glia era di idee antifasciste.

Mio padre, meccanico, aveva un’officina nel quar­tiere S. Lorenzo ove, tra le altre cose, curava la prepa­razione delle biciclette della squadra di Gi­rardengo. Questo lavoro lo aveva reso famoso nel quartiere, ma, poiché si osti­nava a non volere la tessera del Partito Fasci­sta, lo obbligarono a chiudere quell’attività che era l’unica fonte di sostentamento per la sua famiglia che con­tava ben nove figli. Fu dura e tutti soffrimmo la fame molto prima dell’inizio della guerra.

Sono state la fede comunista di mio padre e quella mia che, dopo l’8 set­tembre 1943, mi spinsero a far parte dei GAP e, nel giugno 1944, con l’arrivo de­gli Alleati, dopo un proclama di Togliatti, che voleva la ricostituzione di un nuovo Esercito Italiano, mi sono arruolato volontario nel Gruppo di Combattimento “Friuli”.

Mario Bianchi (a destra) a Casalecchio dei Conti (Castel San Pietro BO)

Vuole ricordare qualche episodio in veste di partigiano e, in se­guito, come fante del “Friuli”?

Quando ci sarà l’incontro con gli studenti dell’Ateneo Roma Tre, potrò en­trare di più nei particolari, ma, per ora si sappia che dal maggio 1943 ero volon­tario nella Scuola Vigili del Fuoco di Acilia.

Tale ero anche all’8 settembre 1943 quando, improvvisamente, giunsero su alcuni carri armati i Tedeschi che distrussero i capannoni ove eravamo alloggiati, fracassarono i nostri moschetti e, solo dopo essersi accertati che non eravamo militari, ci lasciarono liberi.

Fu, così, per me, da Acilia un’avventurosa corsa verso Roma, fino alla mia casa di piazza Bologna perché, nei giorni 9, 10 e 11 settembre, nonostante l’ambiguo proclama di Badoglio, in città si erano formati molti punti di resistenza armata.

Mi trovai, così con alcuni miei compagni a piazza Esedra (oggi della Re­pubblica) ove un sergente e alcuni militari discutevano con molti civili. All’improvviso due soldati tedeschi, su una motocarrozzetta, provenendo dalla stazione Termini, iniziarono a sparare nel gruppo, uccidendo e ferendo alcune persone che erano rimaste in piedi, non avendo compreso le grida del sergente che diceva di gettarsi a terra. La motocarrozzetta prese, subito dopo, via Nazio­nale, girò per via Torino verso il Teatro dell’Opera e, poi, tornò indietro per ucci­dere ancora, ma, questa volta, il sergente con la sua mitragliatrice sparò prima dei tedeschi colpendoli a morte. Non so descrivere l’impressione che provai per­ché, nonostante avessi già visto molti morti dopo il bombardamento di S. Lo­renzo, quella fu la prima volta che vidi uccidere in uno scontro a fuoco.

1945 - Bren Carriers - Gruppo di Combattimento Friuli -avanzano sulla strada 9 in direzione Castel S.Pietro, Bologna. (cfr. Imperial War Museum, London)

1945 – Bren Carriers – Gruppo di Combattimento Friuli -avanzano sulla strada 9 in direzione Castel S.Pietro, Bologna. (cfr. Imperial War Museum, London)

Nei giorni successivi, fino all’arrivo degli Americani, feci parte dei GAP (Gruppi d’Azione Patriottica) organizzati dal Partito Comunista Italiano e, ricordo, quando nella mia zona (via Tiburtina) bloccammo, con chiodi preparati nell’officina di mio padre, alcuni camion tedeschi per attaccarli, poi, con lancio di bombe molotov e bombe a mano.

Come ho già detto, mi arruolai, poi, insieme ad altri giovani volontari nel Gruppo di Combattimento “Friuli” che fu da noi raggiunto, il 21 gennaio 1945, a Forlì ove fummo addestrati con le nuove armi.

Non posso dimenticare quando, trasferiti a Brisighella, in provincia di Ra­venna, il comandante del “Friuli” generale Scattini, volle rivolgerci parole d’incoraggiamento, proprio per la nostra giovanissima età.

Il giorno 8 febbraio 1945, sulla Linea Gotica, in località Villa Zacchia, ci fu il primo caduto della mia Compagnia. Di pattuglia, incappò in una mina e i tede­schi, messi in allarme dallo scoppio, scatenarono su noi un fuoco infernale. Voglio ora ricordare quando entrammo in Bologna, provenendo dalla via Emilia, alle prime ore dell’alba del 21 aprile 1945.

La gente gridava “sono arrivati gli alleati” ma, subito dopo, accor­tisi che eravamo italiani, anche se con divise inglesi, per il Tricolore che avevamo sul braccio e per le nostre belle parlate, non seppero frenare il loro entusiasmo e il trionfo fu indescrivibile. Bologna era stata liberata dai fanti del nuovo Esercito Italiano!

Terminata la guerra, al suo rientro a casa, come è stato accolto?

Venni congedato nel dicembre del 1945, e al ritorno a casa, fui accolto con grande festa, ma subito dopo ripresi il lavoro nell’ officina di mio padre. In se­guito divenni un attivista del PCI fino al suo scioglimento nel 1990.

Vuole dire qualcosa ai giovani di oggi a proposito di quel pe­riodo?

La democrazia non è come una laurea che una volta conseguita dura tutta la vita, la democrazia va difesa giorno per giorno. C’è sempre il pericolo di perderla. Forze conservatrici, che potrebbero diventare reazionarie, vogliono cancellare dalla memoria quei giorni gloriosi della Guerra di Libera­zione.

Ragazzi, fate tesoro di questa storia e ascoltate quelli che ne sono stati i veri protagonisti. Sono loro che vogliono veramente bene alla Patria.