CHIRLETTI Italo

IL CIELO SCOMPARSO

Alcuni brani dal diario di un deportato dopo l’ 8 Settembre del 1943

… il treno piombato riparte.

Il mattino del 12 Settembre giungiamo a KaiserSteibruken . Ci hanno fatto scendere dal treno, ci hanno messo in colonna per tre e ci hanno portato al Campo di Concentramento.

E’ il campo 17/A.

Qui comincia la nostra “odissea” che, per alcuni, durerà due lunghi anni, per molti altri solo pochi mesi e per altri ancora solo qualche settimana. Due anni senza notizie di mia moglie e di mia figlia; due lunghi anni di maledizioni al fascismo, alla monarchia e a tutti coloro che ci hanno costretto a subire queste umiliazioni e sofferenze. Per due anni ho maledetto anche il popolo tedesco, ma so che anche loro hanno sofferto le angherie delle SS e di tutti quei fanatici hitleriani che, prima della caduta di Hitler hanno trucidato tutti coloro che avevano manifestato avversione al nazismo.

Quando entriamo nello Stalag per prima cosa ci rasano i capelli a zero, poi ci fanno la foto segnaletica con una lavagnetta che dobbiamo tenere con tutte e due le mani all’altezza del petto, sulla lavagnetta c’è scritto il numero di matricola: il mio è “34576”. Per anni l’ho ricordato, poi l’ho dimenticato. Mi ha meravigliato il fatto che quando ho ripensato a quegli eventi, mi è tornato alla mente come se fosse una cosa mia.

Fatta la foto si va al bagno; il bagno è una baracca di legno dove hanno montato una tubazione con dei fori che formano la doccia. Chi manovra l’acqua, per schernirei ci manda prima quella bollente e poi improvvisamente quella fredda. Qualche mese dopo venimmo a sapere che non sempre dalle tubazioni usciva l’acqua, a volte dicevano che per la pulizia serviva la sterilizzazione e mandavano dei “fumi”. Questo trattamento veniva riservato in particolare ai prigionieri ebrei e russi, questi ultimi stavano in un campo vicino al nostro.

Dopo il bagno ci assegnano alla baracca. Ci sono di tutte le grandezze. lo purtroppo capito in una delle più grandi, siamo in 150. Ci sono file di letti a tre piani. Quello che mi colpisce e che ancora oggi ricordo è il puzzo tremendo che c’è. Siamo tutti italiani.

Alcuni sono lì da alcuni giorni e mi raccontano degli appelli, delle perquisizioni e del rancio: un tale intruglio da far vomitare, fatto di acqua, sansa di barbabietole e qualche patata. La prima settimana non ho mai mangiato, non ho mai dormito, ho sempre pianto, pensavo solo a mia moglie e a mia figlia ed ero quasi certo che non l’avrei mai più viste. Ho pianto più di quanto avevo mai fatto fino a quel tempo.

Una mattina presto entrano di colpo nella baracca e ci portano al centro del campo. Siamo circondati da soldati armati. Abbiamo paura. Sappiamo cosa avviene nel campo vicino al nostro dove sono detenuti i Russi. Li ci girano documentari di guerra. Danno a quei poveri disgraziati dei fucili scarichi. Poi arrivano i tedeschi con le autoblindo e li trucidano tutti, facendo vedere che hanno dovuto sedare una rivolta armata: in un giorno ne hanno ammazzati oltre 200.

Quella mattina pensavamo che lo avrebbero fatto anche a noi. Al centro del campo hanno eretto un palco. Compaiono sul palco 6 persone: due in divisa fascista e gli altri quattro hanno solo la camicia nera. Ai piedi del palco ci sono quattro ufficiali delle SS. Quei sei delinquenti sul palco cominciano a dirci che ci avrebbero rimandati a casa e che se stavamo li era per colpa del Re e di Badoglio e che i Tedeschi avevano dovuto fare tutto quello per cautelarsi. Alla fine ci dissero che se volevamo tornare subito a casa avremmo dovuto firmare l’arruolamento volontario con l’esercito tedesco, Così vi batterete per la vostra patria .. ci dissero, avremmo vestito la divisa tedesca ed avremmo combattuto gli alleati al fianco dei tedeschi.

La Patria, gran bella parola, ma chi era il traditore della nostra Patria, non Noi che stavamo la, non noi che non avevamo mai accettato il fascismo, ma il nostro Re, i nostri generali che prima ci hanno mandato a morire sui vari fronti e poi ci hanno abbandonato in mano dei tedeschi.
Nel campo siamo oltre 600, di tutti noi solo alcuni accettano. Poveretti. Abbiamo poi saputo che, in mezzo ai soldati tedeschi sono stati trattati peggio di noi. l tedeschi non si fidavano, in tutte le missioni più pericolose gli italiani venivano mandati avanti, a volte anche disarmati.
Morirono quasi tutti.

… Passano i mesi. lo sono sempre più magro, mangio poco. Quando riuscirò a tornare a casa il mio peso sarà di 51 Kg. Allo Stalag 17/A il giovedì non danno da mangiare, perché le cucine sono chiuse. Solo una fetta di pane nero e 10 grammi di margarina. Me ne sto da parte a pensare che se continuo così non avrei vissuto tanto e forse era meglio mettere qualcosa da parte. Si avvicina un soldato tedesco e comincia ad urlare in malo modo. Non capisco quello che dice, ma dal suo atteggiamento riesco a capire che ce l’ha con me perché non mangio subito il rancio. Poi si avvicina a me e con calcio mi fa cadere dalle mani il pane e la margarina. lo mi butto in terra per raccogliere il pane e la margarina che stava nel fango. Lui estrae la pistola, me la punta alla testa e mi da uno schiaffo talmente forte che mi farà male fino a sera. Quel giorno sono stato fortunato. Poi ho saputo che quel soldato era un vero aguzzino, i giorni prima aveva già ucciso due prigionieri italiani.

… Dal campo dei Russi arrivano brutte notizie. Dicono che a quei disgraziati, non danno da mangiare per settimane, poi improvvisamente li fanno mangiare talmente tanto che buona parte muore. l morti vengono poi gettati in una grossa fossa e lasciati li finche non viene il carro a ritirarli. Quando il carro viene a prendere i morti, i Russi vivi devono scendere nella fossa e caricare i cadaveri su una specie di piattaforma che poi altri Russi tirano sul carro. Maledetti aguzzini, maledetta guerra, maledetti tutti. Chissà quando toccherà a noi.

… Una mattina ci radunano al centro del campo, Dopo l’appello e la conta ci dividono in gruppi di 10 e di 30. lo sono in un gruppo di 12. Non sappiamo nulla. Tutti pensiamo la stessa cosa:

Faremo la fine dei russi ? Ci manderanno in un altro campo ?

Viene l’interprete e ci dice che tutti quelli scelti verranno destinati in vari posti di lavoro, ma neanche lui sa dove ci avrebbero mandati. La sera mi mandano in una fattoria non lontano dal campo di concentramento dove stava una vedova di un alto ufficiale delle SS con una figlia di circa 10 anni. Il marito era stato ucciso in Italia e lei odiava gli italiani. lo dovevo accudire i cavalli, le mucche ed i maiali; dovevo spalare il letame dalla stalla e trasportarlo con una carriola per circa un Km. e caricarlo su di un carro. Il letame che cadeva dovevo raccoglierlo con le mani e metterlo sul carro. La strada doveva essere sempre pulita. Il carro era guidato da lei ed io dietro il carro a piedi per un altro Km. Ogni giorno erano offese e maltrattamenti. Gli italiani sono traditori e devono essere schiavi.

Un giorno, volevo fumare una sigaretta, infilo il forcone con il quale raccoglievo il letame sul carro e mi accendo la sigaretta. Lei comincia a strillare, ferma il carro, scende, prende il forcone e me lo lancia contro. Mi fa capire che io sono li per lavorare e basta e che i traditori non hanno alcun diritto. Poi mi minaccia di avvertire le SS per farmi punire. Raccolsi la forca, lei intanto era ripartita con il carro e cominciò nuovamente ad urlare Schnell, schnell perché ero rimasto indietro. Mentre seguivo il carro feci dentro di me questa promessa: Non so se avrò la fortuna di tornare a casa, ma se così fosse e mi nascesse un figlio maschio il mio unico scopo sarà quello di insegnargli l’odio per la razza tedesca.

… Nel gennaio del ’44 ci trasferiscono in un campo di Concentramento ai confini con la Cecoslovacchia – Wiener Neustadt – ci mandano a lavorare in fabbrica. Era una fabbrica che all’apparenza faceva viti e bulloni, invece producevano proiettili. Li facevamo i turni. Dopo il turno di notte, c’era il riposo. Erano le 6 di mattina, avevo lavorato dalle 22.00. Mi ero appena sdraiato, fuori faceva un freddo cane, oltre meno 10 gradi. lo ero nella baracca. Alle ore 7.00 entra un tedesco e grida “Appell ! ! Appell ! !” tutti quelli della baracca devono uscire; la regola era che quelli che avevano fatto l turno di notte potevano rimanere sul castello. Lui urla ancora “Appell” e mi minaccia con il fucile. lo non rispondo. Allora mi tira giù dal castello e mi trascina fuori. lo sono in mutande con un canottiera di iuta. Mi tiene li in piedi sulla neve, scalzo per circa mezz’ora.
Come provavo a mettermi giù, lui mi dava un calcio. Arriva il comandante del campo e comincia ad urlare; qualcuno mi porta una coperta. Vengo rimandato nella baracca. Non riesco a riscaldarmi, tremo per il freddo e per la paura nel timore che la porta si apra e compaia il soldato tedesco.
In questo posto infernale dove ho imparato ad odiare e a soffrire e dove la vita non aveva più significato e dove il “Cielo è scomparso” perche il colore celeste del cielo non l’ho più visto, li ho conosciuto un uomo, un amico, anzi un fratello: un prigioniero italiano come me di San Donà di Piave. Non ho mai capito come possa essere successo, ma un giorno all’ingresso in fabbrica, mi ha fatto cenno di avvicinarmi a lui, lo ricordo benissimo di avergli sorriso e di essermi avvicinato a lui.

Mario Bergamo, questo era il suo nome, mi disse che aveva assistito alla scena di me nudo in mezzo al campo a piedi scalzi sulla neve.

Era Gennaio del 44 nacque una amicizia che è durata tutta la vita. La sua più breve della mia.

Itala Chirletti, nato a Tivoli (RM) il 27 Marzo 1913

Richiamato nel dicembre del 1940, non si presenta al Distretto Militare di Roma, ricercato dai Carabinieri per retinenza alla leva, nel Febbraio del 1941 viene inviato a/IV11 Regimento Artiglieria Pesante di stanza a Piacenza ed assegnato al V/11 Gruppo Bombarde. Il 23 Febbraio 1941 viene trasferito a Fiorenzuola ed assegnato alla 11111 Batteria. Il 2 Marzo 1941 parte per il fronte Greco Albanese diretto a Valona.

Dopo 48 mesi rientra a Bari e da qui inviato in Sicilia dove stanno per sbarcare gli Americani. Giunge l’ordine di ritirarsi e la compagnia, rientra a Mantova. Da qui viene inviato a Bolzano.

E’ il 3 settembre 1943.

L’8 settembre, mentre tenta la fuga insieme ad altri soldati, viene fatto prigioniero da un gruppo di fascisti ed affidato alle truppe tedesche. Il 9 Settembre 1943, messo in un vagone piombato, viene avviato al Campo di concentramento.