FILIPPELLI, Amedeo
“Sono Amedeo Filippelli, nato a Roma il 27 settembre 1927.
Vi racconterò un fatto che mi è accaduto quando avevo l’età di 17 anni, anzi, 16 e mezzo.

Amedeo Filippelli (a sinistra con il fazzoletto blu al collo) a Casalecchio dei Conti
Assistetti, involontariamente, ma poi con una certa curiosità, al rastrellamento degli ebrei al Ghetto di Roma sul Lungotevere Vallati, vicino alla Sinagoga (16 ottobre 1943). Voglio precisare che, all’epoca, non mi ero mai interessato di politica, nè di fascismo, nè di comunismo, nè di nazismo. Ero un ragazzo semplice che pensava ad avere una fidanzatina o alle future fidanzate.
Assistendo al rastrellamento, scattò in me un odio immediato contro i tedeschi. Ho visto cose che non possono essere fatte neanche a delle bestie: spinte, calci, pugni, su donne anziane perché non volevano salire sui camions tedeschi. Rimasi così scioccato che il mio odio nacque immediatamente contro i tedeschi e contro i fascisti. Si, perché i fascisti collaboravano con i tedeschi al rastrellamento. Quando un tedesco dava un calcio ai reni ad una donna anziana, i fascisti ridevano. Dentro di me pensavo: come è possibile che accada questo, donne e bambini, piangenti, (cinque /sei anni) presi per i capelli dai tedeschi e buttati nei camions come sacchi di patate.
Lavoravo presso l’Anagrafe in Via del mare (oggi Via Petroselli) e feci, a me stesso, una promessa: arruolarmi per combattere contro nazisti e fascisti.
Nel giugno del 1944 arrivano gli Alleati. Qualche mese dopo (agosto 1944) seppi che erano in formazione Gruppi di combattimento e mi presentai alla Caserma “Bianchi” di Via Nomentana. Purtroppo non venni arruolato per la mia giovane età (17 anni, contro i 18 per l’arruolamento). Tornando a casa, mentii a mia madre, dicendole che avevo trovato un lavoro migliore rispetto a quello che avevo (spalare le macerie) e le feci, quindi, firmare un documento che, in effetti, era il nulla-osta per l’arruolamento.
Arruolato, venni inviato, per circa una settimana, a Chieti, presso la sede del Corpo Italiano di Liberazione. Poi, spedito a San Giorgio del Sannio, qui vestito e armato (divisa e armi inglesi). Dopo qualche giorno di addestramento, vengo assegnato al Gruppo di Combattimento Friuli, 87° rgt. I° battaglione, I^ compagnia, e destinato a Forlì, già liberata dagli inglesi, da pochi giorni, e per alcune settimane ricevo ulteriore addestramento.
Ricordo che feci a piedi, da Forlì a Bologna, attraverso la Via Emilia.
A tappe e, con piccoli combattimenti, arriviamo a Brisighella. I tedeschi si stavano sempre più ritirando. A Brisighella prendiamo posizione in una villa chiamata Villa Zacchia (11 aprile 1945) nei pressi di “quota 92”: davanti a noi il fiume Senio e la cittadina di Riolo Terme.
In questa villa, ma direi un rudere, abbiamo dato il cambio ad un battaglione di polacchi e siamo rimasti qualche settimana. I tedeschi erano oltre il fiume Senio. Dinnanzi c’era un casale (“quota 92”) che dominava la Valle del Senio. Questa quota era ambita sia da noi italiani, sia dalle truppe tedesche.
I tedeschi occupano “quota 92”. Una sera, venne sferrato da noi un attacco molto duro dal quale scaturirono molti morti da ambo i lati. Dovemmo ripiegare e io venni ferito.
Due giorni dopo, riorganizzati, sferriamo un forte attacco respingendo i tedeschi oltre il fiume Senio e oltre la cittadina di Riolo Bagni (oggi Riolo Terme).
Dopo un giorno di permanenza, proseguiamo, a piccole tappe, per Faenza, Castel San Pietro, Imola fino a Bologna. Piccole scaramucce con le retrovie tedesche.
A Ozzano siamo costretti a fermarci. I tedeschi avevano organizzato una forte resistenza a pochi chilometri da Bologna. Ci fu una dura battaglia. I tedeschi si ritirarono e non ci venne dato l’ordine di avanzare. Sembra, e sottolineo sembra, che gli inglesi avessero programmato la loro entrata per primi in Bologna.
Il nostro comandante, generale Scattini, che reputo un eroe, non rispettando questo ordine, ci disse: “Cari friulini saremo noi ad entrare a Bologna per primi”.
Alba del 21 aprile 1945: l’87° rgt. Fanteria del Gruppo di Combattimento Friuli (con divisa ed elmetto inglese, ma con il “nastrino” tricolore sulla spalla sinistra), entra in Bologna libera.
Con i 17 anni che avevo e con l’amico Mario Bianchi (18 anni) entriamo a Bologna e ci affacciamo oltre le Torri, rischiando anche un eventuale colpo dei ”cecchini”.
Entrati a Bologna l’accoglienza da parte della popolazione non fu molto espansiva perché ci credevano inglesi. Ma, dalla fila, qualcuno gridava: “siamo italiani, sono calabrese, sono siciliano, sono toscano, sono romano” e la festa iniziò. Sulla nostra spallina sinistra avevamo il tricolore e la Torre di Udine, simbolo del nostro gruppo. La festa durò per molti giorni. Dopo di noi entrarono i Bersaglieri della Legnano, poi inglesi, polacchi, ecc.
Senza trovare nessuna resistenza giungiamo a Verona, dove si pensava di trovare un caposaldo tedesco. E, infine, a Trento senza sparare un colpo.
Il 26 luglio 1945 vengo congedato.
Presi la tradotta e me ne tornai a Roma a casa. Non dissi nulla a mia madre della ferita, della guerra. Mio padre, di idee socialiste, capì la mia “avventura” della quale, credo, fu orgoglioso.
Tutto questo mi è successo a 17 anni e non mi pento delle scelte fatte” .