LODI, Lorenzo

N. a Roma il 29 febbraio 1920
M. a Roma il 24 novembre 2008

Dal 25 luglio 1943 in poi.
Ero in Grecia.
nonnoEro sergente maggiore nella 1^ Compagnia del XXVI Btg. Mitraglieri di C.d’A. e comandavo un plotone in un caposaldo a circa 20 Km da Atene. Davanti a me era l’isola di Salamina. Il mio era uno dei tanti capisaldi che costituivano lo schieramento difensivo dell’Attica Avevamo costruito le postazioni per le nostre mitragliatrici in cemento armato e avevamo preparato il terreno intorno a noi per posizionarvi le mine antiuomo.Alle nostre spalle era predisposto un appoggio di artiglieria costituito da pezzi da 149 Skoda, preda bellica della prima guerra mondiale. (Come posso dimenticare i cari, vecchi cannoni da 149 ad affusto rigido, che ci avevano accompagnato anche sul fronte Greco-albanese, e che non avevano mai potuto fare tiri di controbatteria, per la minore gittata, contro un cannone inglese che, da Pogradec, sulla riva del lago di Ocrida, ci martellava giorno e notte?)
Avremmo noi potuto resistere, in tali condizioni, ad uno sbarco di truppe nemiche appoggiate dai potenti cannoni della marina inglese? Potevano incoraggiarci i ricordi di quanto avevamo sofferto sui monti d’Albania? Potevamo ancora sopportare gli sguardi beffardi dei camerati tedeschi alla vista dei nostri, pur gloriosi, moschetti modello 91? Potevamo noi rimanere indifferenti di fronte alle sofferenze dei Greci e specialmente di fronte agli sguardi dei loro bambini che venivano a chiederci un po’ di rancio e un po’ di pane?
Sia lontano da me, però, qualsiasi luogo comune come “Italiani, brava gente !”.
Secondo me, il soldato italiano, pur non essendo informato ufficialmente su quanto in realtà accadeva, sentiva che l’occupazione della Grecia era totalmente sfuggita dalle mani italiane e i veri occupanti erano i tedeschi.
Non potevano sfuggirgli le razzie compiute dai tedeschi con metodo, le loro requisizioni di case e di campi coltivati, la loro arroganza e l’evidentissima loro superiore preparazione bellica. La macchina tedesca era militarmente perfetta, la nostra era a pezzi, soprattutto per la caratteristica tutta italiana dell’improvvisazione di ogni azione militare e amministrativa. Non potevano reggere a lungo le caratteristiche della naja dell’arrangiarsi e dello slancio bersaglieresco.
Soprattutto al soldato italiano non poteva sfuggire che la da lui pretesa parte del conquistatore non corrispondeva ad un effettivo potere e che, prima o poi se già non lo era, sarebbe diventato l’esecutore soltanto di ordini tedeschi.
Era evidente che alle parole non corrispondevano i fatti. C’era sempre stata carenza negli armamenti e negli equipaggiamenti ed era anche evidente che, ad eccezione di pochi, nello Stato Maggiore la rivalità carrieristica, testimoniata dai continui cambi al vertice, portava conseguentemente all’assoluta incapacità di condurre una guerra di proporzioni mondiali.
Noi tutti eravamo lontani dall’Italia da almeno quattro anni. Certamente non ci confortavano le notizie che la misteriosa, ma esatta, “radio fante” ci dava sui bombardamenti delle nostre città, sulla stanchezza e miseria di chi era in Italia, sulle sconfitte su tutti i fronti, sul discorso del “bagnasciuga”e sullo sbarco in Sicilia.
Fu così che, quando il 25 luglio venimmo a sapere della caduta del governo fascista, non ne fummo affatto meravigliati e, nonostante il comunicato reale che dichiarava: “La guerra continua” e aggiungeva con cinismo “l’Italia, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni, rimane fedele alla parola data” sperammo che presto sarebbe finita la guerra.
Nessuno avrebbe mai immaginato quello che sarebbe accaduto l’8 settembre 1943 !

8 settembre 1943, di fronte al terribile dilemma di continuare la guerra fascista o rifiutarla, resistendo ad ordini e minacce.
Si andava fatalmente verso il “Si salvi chi può !” L’8 settembre, infatti, avvenne la vergognosa fuga del Re e del suo Stato Maggiore.
Non si potrà, in seguito, riconoscere alcun merito a chi, dopo aver posto il fascismo al potere, dopo averlo assecondato nelle folli conquiste coloniali, ricevendone in cambio le corone di imperatore d’Etiopia e di re d’Albania, dopo aver avallato le leggi razziali e dopo aver accettato che l’Italia entrasse in guerra come potenza dell’ Asse, fuggiva, l’8 settembre 1943, lasciando l’esercito senza ordini e, quindi l’intera Nazione, nel caos e in balia di eserciti nemici. Ricordiamoci che, non a torto, i tedeschi già erano preparati al voltafaccia italiano e che da parte degli alleati, per le ambigue manovre di approccio, non era riuscito ad ottenere la minima fiducia.
L’ancora sedicente re, costretto ad un’umiliante resa incondizionata, riuscì ad ottenere la salvezza della corona e la cobelligeranza soltanto perché questo conveniva soprattutto agli inglesi sia in funzione antirussa (anticomunista) sia per garantirsi da una probabile ingovernabilità dell’Italia occupata. Soldati italiani, inoltre, potevano permettere un alleggerimento di truppe alleate sul fronte sud, impiegabili su altri fronti.
Intanto in tutti Balcani e, per quello che mi riguardava in Grecia, si andava sempre più organizzando la resistenza partigiana. Specialmente dopo il 25 luglio, i greci cercavano di contattarci per conoscere le conseguenze dovute alla caduta del fascismo e la portata della nostra insofferenza verso i tedeschi.
Confesso che, avendo stretto molte amicizie, se all’8 settembre mi fossi trovato in Grecia, avrei cercato di passare dalla loro parte, anche se non potevo avere garanzie sul mio futuro. Ci sarebbe stata coerenza con la scelta che feci, poi, a Roma.
Ho avuto la conferma, soltanto molto tempo dopo, che il XXVI Btg. Mitraglieri, di stanza in Grecia, era stato disarmato e deportato in Germania dai tedeschi.
Io, per fortuna, non ne ho condiviso la tragica fine perché il 29 agosto 1943 mi veniva concessa una licenza di giorni 30+5. Il giorno seguente ero all’aeroporto di Eleusi e il giorno 31, assegnato alla mitragliatrice di coda, partivo con un trimotore S 79 alla volta di Lecce, ove giungevo la sera dello stesso giorno. Nei giorni 1,2,3 e 4 percorrevo, più a piedi che in treno i circa 650 Km che mi separavano da Roma.
Il 5 settembre finalmente a Roma ! Finalmente a casa ! Finalmente in famiglia ! Ma non potevo certamente immaginare che, quattro giorni dopo, sarebbe iniziato per me un Calvario che sarebbe durato ben nove mesi.
L’8 settembre 1943 lo sconcertante proclama di Badoglio mi lasciò sbigottito, ma il giorno 10, diffusasi la notizia di quanto avveniva a Porta S. Paolo, correvo al Distretto militare di via Sforza per mettermi a disposizione. Venivo, però, respinto con queste parole.”Vattene a casa in attesa di ordini !” Mi facevo timbrare la licenza per testimoniare la mia presentazione e, da quel momento, la mia scelta era fatta ! La mia sarebbe stata una resistenza passiva.
Da almeno cinque anni ero antifascista perché era in me crollato tutto quello che lo Stato fascista mi aveva insegnato sia a scuola sia nella società e perfino in chiesa. Forti dubbi avevo anche verso la monarchia, ma, dopo la fuga del Re e del suo Stato Maggiore, anche questi crollarono. Per una strana reazione, però, sentivo che appartenevo ancora all’Esercito perché l’amore per la Patria era in me fortissimo e questo sentimento non mi ha mai abbandonato.
Ho sopportato la fame (più di una volta ho dovuto elemosinare all’ECA un pentolino di minestra), non ho risposto ai bandi della RSI e non ho mai temuto le minacce sia dei fascisti sia dei tedeschi. Non ho ceduto nemmeno quando, caduto in una retata tesa da appartenenti alla PAI, stavo per essere consegnato ai tedeschi, salvandomi miracolosamente, però, per merito di un commissario di P.S.
Non avevo più molti contatti esterni, ma la “voce” del vero popolo romano giungeva ugualmente fino a me, mettendomi al corrente di tutto quello che avveniva. Quanto dolore era in me quando venivo a sapere delle retate tedesche per il lavoro coatto, della deportazione degli Ebrei romani, delle torture di via Tasso, delle rappresaglie tedesche e delle Fosse Ardeatine e quanta rabbia provavo, invece, per la mia forzata impotenza e per non poter rispondere alle farneticazioni fasciste trasmesse via radio.
Quanta gioia, però, finalmente provai quando vidi sfilare per via del Corso, mute, anche se come sempre altezzose, le retroguardie tedesche che si ritiravano verso il nord. Era il 4 giugno e la sera dello stesso giorno gli Americani entravano in Roma.
La mattina del 5 giugno una colonna di autocarri americani si fermava al lungotevere in Augusta, quasi davanti a casa mia, ed io, poco dopo, stringevo la mano ad un soldato americano che mi offriva una sigaretta, ma mi chiedeva: “Perché non sei anche tu un militare ?” Risposi che lo ero, ma entrambi non sapevamo che, pochi mesi dopo, avrei combattuto al suo fianco.

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Roma 2006 – Museo Storico della Liberazione. Il prof. Lorenzo Lodi (a sinistra) incontra il prof. Antonio Parisella direttore del Museo

Partecipazione alla Guerra di Liberazione.
Arrivarono gli Alleati e agli occupanti, feroci, stranieri tedeschi si sostituirono altri stranieri che ci bombardavano e distruggevano le nostre case per combattere la loro guerra; ma li accogliemmo come liberatori.
All’ancora sedicente Re d’Italia gli Alleati avevano imposto la “resa incondizionata”, ma, in seguito, gli avevano riconosciuto un nuovo Governo nel sud che era riuscito a ottenere la “cobelligeranza”. Per merito soprattutto di pochi valorosi (C.I.L.) che avevano combattuto sulla linea Gustav, conquistando Monte Lungo e Monte Marrone e che ora, con gli Alleati, risalivano l’Italia liberandola fino alla Linea Gotica, gli Alleati stessi permettevano la formazione di sei “Gruppi di Combattimento”. E’ il SETTEMBRE 1944, ma la pace ancora non c’è.
Io a giugno, dopo essermi presentato al Comitato Regio Esercito per la Città di Roma, vengo congedato, a settembre sono richiamato dal CERSETI e, per mia scelta, sono assegnato al “Gruppo di combattimento FRIULI”, in formazione a S. Giorgio del Sannio.
Il Gruppo è armato, equipaggiato e addestrato dagli Inglesi, ma sul braccio sinistro abbiamo il TRICOLORE, simbolo di quell’ITALIA che nella GUERRA DI LIBERAZIONE e nella RESISTENZA conquisterà la sua libertà, combattendo con i suoi Soldati sulla Linea Gotica, nelle retrovie con i Partigiani e ovunque ci sarà il rifiuto dei suoi migliori Cittadini alla collaborazione con i Tedeschi. Finalmente ritrovo me stesso ed ho una grande causa per cui combattere, ma sia ben chiaro che non sono badogliano e nemmeno monarchico. Sono soltanto un soldato che vuole combattere il nazifascismo.
Il Gruppo, ormai pronto, prima di trasferirsi in Toscana per completare il suo addestramento, il 24 novembre 1944 sfila per il centro di Roma per dimostrare che è nato il nuovo Esercito Italiano.
L’8 febbraio 1945 il Gruppo inizia le operazioni per la sostituzione sulla Linea Gotica della Divisione Polacca “Kressowa”. Il settore assegnato al Gruppo “Friuli” è quello di Brisighella, a sud della via Emilia a non grande distanza da Faenza. A sinistra si schiera un Battaglione dell’87° Ftr., sostituendo la Brigata partigiana “Maiella”, da tempo alle dipendenze della Divisione Polacca. Al centro e a destra, due Battaglioni dell’87° Ftr. sostituiscono il Reggimento Polacco “Wilno”.
Il nemico che il “Friuli” ha di fronte è costituito da truppe scelte tedesche e,precisamente, dai Granatieri della 90^ Divisione “Panzer Granadieren”, dai Paracadutisti della 1^ Divisione e dai Paracadutisti, i diavoli verdi, della 4^ Divisione, stimata come la migliore unità sul fronte italiano.
Io, con il grado di sergente maggiore, comando, per assenza di ufficiali, il 2° plotone della 2^ compagnia del 1° battaglione dell’87° Reggimento Ftr: e, dando il cambio ai Polacchi, occupo il caposaldo di Rio Manzolo, posto all’estrema destra di tutto lo schieramento. Questo caposaldo ha di fronte una grande ansa del fiume Senio con al suo centro Casa Passerina, importante perché vicina ad un guado del fiume stesso. Il paese di Cuffiano, in mano dei Tedeschi, è davanti a noi dall’altra parte del Senio e domina tutta l’ansa che è terra di nessuno.
Dopo una settimana (si noti che io sono uno dei pochi che già conosce la guerra), all’inizio della notte, il mio plotone viene attaccato da una pattuglia tedesca che viene respinta dal fuoco dei nostri mortai e dei nostri fucili mitragliatori con sicure sue perdite. Infatti, il giorno dopo, di pattuglia, troverò alcuni indumenti insanguinati.
Iniziamo un’intensa attività di pattuglie e, in breve tempo, diveniamo padroni di tutta l’ansa. Con un plotone del 2° Battaglione ci diamo il cambio con un’alternanza di una ventina di giorni e anche loro respingono un attacco di una grossa pattuglia nemica, catturandone il comandante e infliggendole una perdita di 40 uomini tra morti e feriti.
Ma nella notte tra il 13 e il 14 marzo, a quota 92, durante il cambio dato da un plotone della mia Compagnia, si scatena con successo un attacco da parte dei tedeschi. E’ così che mi danno l’ordine di contrattaccare immediatamente con il mio plotone. Nel buio più fitto, guidato solamente dai lampi degli spari, dopo aver fatto sparare molti colpi di mortaio, ordino l’attacco, ma incappiamo in un campo minato e molti soldati tornano indietro perché colpiti sia dalle mine sia dalle armi automatiche nemiche. Ciò nonostante giungo con quattro soldati (uno di loro aveva il bren) fino ad occupare una postazione a pochi metri dai tedeschi, ma mentre attendo rinforzi (i rinforzi invece giungono ai tedeschi), in un brevissimo momento di tregua, sentiamo il nostro Capitano che, avendo ricevuto tale ordine, ci grida di tornare indietro.
Gravi sono le perdite a q. 92, tra morti e feriti, della mia Compagnia e, in particolare, muoiono del mio plotone due sergenti comandanti di squadra e tre soldati.
Si ricostituisce la mia Compagnia e il mio plotone riprende il possesso di Rio Manzolo, dando il cambio al plotone del 2° Btg. Si riprende l’attività di pattuglie, con ricognizioni del terreno, in preparazione dell’attacco per il passaggio del fiume Senio.
L’attacco avviene il 10 di aprile e il mio Btg. appoggia il 2° Btg. che supera il fiume Senio e occupa Cuffiano. Immediatamente dopo, noi iniziamo l’inseguimento del nemico e io, con il mio plotone, sempre all’estrema destra dello schieramento, raggiungo Imola insieme ai Polacchi. Ma non ci fermiamo e, noi alla sinistra e i Polacchi alla destra della via Emilia, iniziamo l’avanzata in direzione di Bologna.
Sarà indimenticabile per me, poco dopo Cuffiano, l’improvviso, esaltante incontro con il generale Scattini, comandante del Gruppo, che, poiché so che davanti a me ci sono soltanto i tedeschi, alla mia domanda: “Generale, cosa fa lei qui?” risponde semplicemente, con un sorriso: “Ragazzi, avanti per l’Italia e per la vittoria!”
Sono i paracadutisti tedeschi della 4^ Divisione che si ritirano davanti a noi, ma oppongono, al “Friuli” che avanza, una fanatica resistenza a Grizzano e a Casalecchio dei Conti. Il mio plotone, però sempre lungo via Emilia, è impegnato ancora a Castel S. Pietro ove entra insieme ai Polacchi e, sempre al loro fianco, spara le ultime raffiche per il superamento del torrente Idice. Non vedremo più i tedeschi ad eccezione di alcuni che si daranno prigionieri.
E’ adesso per noi soltanto una marcia trionfale che nelle primissime ore del mattino del 21 aprile ci vede entrare per primi in Bologna che, finalmente liberata, si riversa tutta per le strade e ci accoglie in delirio, appena viene a conoscenza che siamo ITALIANI. Tutti gridano festanti, ci abbracciano, ci portano fiori, ci offrono sigarette e bicchieri di vino, ci fanno domande e domande e, a stento, riusciamo a raggiungere le famose torri bolognesi.
E’ qui che ci giunge l’ordine di accamparci fuori di Bologna per il meritato riposo ed è qui che veniamo a sapere della liberazione di tutta l’Italia e dell’armistizio , ma, anche a guerra finita e congedati, portiamo per sempre con noi il ricordo delle bianche croci del cimitero di Zattaglia.
Il cimitero di Zattaglia, però, risistemato a ricordo del Gruppo di Combattimento “Friuli”, non accoglie più i suoi caduti. Questi, infatti, in gran parte sono stati riconsegnati alle loro famiglie e i rimanenti, per lo più ignoti, riposano nel Sacrario di Monte Lungo. Il cimitero di Zattaglia, con la sua grande Croce, recante il Tricolore e il castello simbolo del Gruppo, sarà sempre per noi del “Friuli” il riferimento perenne di chi si sacrificò per la liberazione dell’Italia.
Per quello che avvenne a q. 92, fui decorato di MEDAGLIA DI BRONZO AL V.M. con la seguente motivazione:
Sottufficiale, comandante di plotone, guidava arditamente il reparto in una rischiosa azione di contrattacco in terreno scoperto, minato e violentemente battuto da armi automatiche e mortai nemici. Incurante del pericolo, conscio della delicata missione affidatagli, animando i propri soldati con l’esempio, giungeva a brevissima distanza dall’obiettivo dopo aver inflitto al nemico forti perdite. Nonostante le sensibili perdite subite dal proprio reparto, desisteva dall’attacco solamente in seguito ad espresso ordine.
Valle del Torrente Senio – Quota 92 – 13/14 marzo 1945”