STANGLINO, Ernestino

Stanglini era un ragazzo lomellino e come molti della sua leva del 1922, è stato reclutato e armato per la guerra.
Partito da Zeme nel gennaio 1942, è stato mandato prima in Sicilia dove, pochi mesi dopo, dal 29° fanteria verrà accettato nelle fila dei carabinieri ausiliari. Di stanza a Gorizia, Stanglini si trovava nei Balcani l’8 settembre 1943. Catturato dai tedeschi e caricato su un treno, giunse al campo di Münsingen alle porte di Stoccarda. Qui arrivarono anche dei bersaglieri fatti prigionieri a Milano nei giorni precedenti e tra questi c’era Bonardi Giuseppe anch’esso di Zeme. I due compaesani si trovarono in quell’orribile contesto e
presi dai disagi e spinti dagli ufficiali, accettarono di collaborare con i nazisti per tornare in Italia. Qui c’era un altro carabiniere di Bari, Ventrelli Agostino, il quale resterà con i lomellini sino alla fine della guerra. Dalla Germania, passando per Praga destinati a un campo di prigionia in Polonia, a Debica, e furono impegnati nell’istruzione militare e la quarantena.
Il natale del 1943 lo passarono tra le nevi polacche con temperature che sfioravano i 30° sotto zero. Nel febbraio dell’ano seguente,  gli italiani aderenti alle file tedesche furono caricati su un treno piombato e attraverso il Brennero arrivarono il 18 di quel mese a Pinerolo. Stanglini, Bonardi e Ventrelli furono mandati a Luserna San Giovanni (TO) e per qualche settimana con gli ufficiali italiani e gli osservatori tedeschi spendevano i loro giorni
nella pigrizia della caserma. Un giorno di marzo però, i graduati italiani, disarmarono i corrispettivi nazisti e lanciarono dei razzi di segnalazione verso le montagne. Gli ufficiali che avevano accettato di collaborare con i tedeschi avevano preso accordi con i garibaldini e fecero salire in montagna armi e uomini. Molti tornarono alle loro famiglie. Altri continuarono la loro esperienza militare a fianco dei fascisti. Molti però restarono alla macchia. I tre amici, ora partigiani, restarono uniti sino a una puntata delle brigate
nere. Giorni prima i “banditi” avevano interrotto le comunicazioni tedesche e la rappresaglia su quell’affronto non si fece aspettare. Alla fine di giugno arrivarono ai piedi della montagna le autoblindo. I partigiani in posizione, sparavano con le mitragliatrici. Stanglini era a una cinquantina di metri da Bonardi impegnato con una vecchia mitragliatrice fiat a raffreddamento ad acqua. Nella confusione Ernesto venne colpito. Quando avvisarono il suo compaesano era già spirato. Un colpo al petto l’aveva stroncato, mentre il rivolo del suo sangue bagnava la montagna. Era alla Rorà nei pressi di Montoso.
I partigiani che soccorsero Stanglini dissero che le sue ultime parole, con l’ultimo alito di vita furono “Viva l’Italia”. Bonardi e Ventrelli, viste le difficoltà dei mesi seguenti tornarono  Zeme. Ventrelli non potendo raggiungere il Meridione restò dall’amico per qualche mese. Tornati in Lomellina formarono una formazione partigiana e con altri sette compagni disarmarono e arresero alcuni guarnigioni locali. Finita la guerra nel novembre del 1945 la famiglia di Stanglini volle riportare a casa la salma. Una colletta pubblica permise di tumularlo nel cimitero comunale. Al funerale erano presenti i partigiani e
“gran parte dei sindaci dei comuni vicini”.